Il cortocircuito è immediato: si prende in mano un romanzo - Manuale di investigazione di Jedediah Berry, edito da Adelphi - si comincia a leggerlo, e subito si scopre che lo stesso libro che abbiamo in mano è anche uno degli elementi chiave della fiction, che i suoi capitoli, quelli che leggiamo noi, sono gli stessi che leggono i protagonisti e, almeno in un caso, il lettore e il personaggio principale leggono la stessa pagina (106) nello stesso momento. Come se l'enorme occhio dorato che campeggia ipnotico sulla copertina del romanzo (e anche del manuale omonimo nel plot) ci avesse trasportato in un'altra dimensione, meravigliosamente metaletteraria. E questo è solo l'inizio, perché poi il libro di Berry - trentenne newyorchese che con quest'opera debutta - riserva una serie di sorprese che accompagnano il già frastornato lettore in un mondo parallelo fatto di altri mondi paralleli e onirici nei quali un oscuro impiegato, Charles Unwin, si trova suo malgrado catapultato sulla scena con l'inedito ruolo di detective per risolvere un mistero - probabilmente il mistero dei misteri - e tutto ciò solo per poter tornare a svolgere il suo ordinato e maniacale lavoro di copista.
La storia è rocambolesca, ossessiva e surreale ma, come dice a un certo punto Unwin, il diavolo è nei dettagli e nel caso di Berry sono dettagli straordinari, che conferiscono a Manuale di investigazione una forza visionaria kafkiana: dagli spazi angusti ai sub-impiegati che lavorano dormendo, dall'enorme edificio che ospita la potentissima e oscura Agenzia, alle stanze d'albergo dove vive l'ambigua Cleopatra Greenwood. Il tutto condito da situazioni magrittiane (la gigantessa, le piccole anomalie di scenari apparentemente "normali") e un doveroso omaggio al ruolo classico del detective, per il quale spendere il nome di Philip Marlowe è tanto scontato quanto doveroso.
Come ha scritto Livia Manera sul Corriere della Sera, siamo di fronte a "una rilettura de Il Processo di Kafka, un ammiccamento a Le città invisibili di Calvino e una reinterpretazione di Alice nel Paese delle meraviglie, senza perdere di vista il gusto hard boiled di Raymond Chandler". Ma, accanto a un'esperienza di lettura che rinnova il genere della detective story, la forza del romanzo di Berry sta anche nella riflessione sottesa dalla trama, e mai come in questo caso il parallelo con Franz Kafka è pertinente. Si sta infatti parlando del potere e del suo rapporto con la mente delle persone, del controllo e della sempre insondabile contiguità tra chi si presenta come il garante dell'ordine e chi fa della promozione del disordine la propria missione. Tra questi due poli, solo apparentemente inconciliabili, si muove una folla di sonnambuli che sembra essere uscita dalle opere migliori di registi visionari come Terry Gilliam o Jean-Pierre Jeunet e che, a ben guardare, ha il volto di ognuno di noi.
Tra le tante possibili citazioni del romanzo sono imprescindibili quelle sull'importanza del mistero ("Se il detective non riesce a mantenere i suoi segreti, allora non riuscirà mai ad apprendere i segreti degli altri"), ma ne spicca anche una, pronunciata da un sorvegliante a quel punto già morto, che può essere definita una piccola antropologia del matrimonio: "In tutte le occasioni in cui ho incontrato mia moglie sul terreno, per così dire, sono sempre rimasto stupito dalla vastità degli eventi in corso. Devo ammettere che la cosa mi spaventa un po'". Non è da escludere che, in questa fine 2009, Manuale di investigazione possa trasformarsi nelle nostre mani nel libro dell'anno.