Era stato annunciato da tempo e non ha tradito le attese: Tra parentesi, la raccolta di saggi, articoli e discorsi di Roberto Bolaño è un evento per tutti gli amanti del grande scrittore cileno, la cui morte a soli 50 anni nel 2003 resta una delle perdite più grandi per la letteratura mondiale. Pubblicato in Italia da Adelphi, forse a un prezzo di copertina un po’ troppo alto, il libro è una sorta di lato B dell’opera di fiction di Bolaño, che però insiste sullo stesso vinile, la stessa materia incandescente e magnetica che alimenta libri memorabili come La letteratura nazista in America o I detective selvaggi. Il curatore Ignacio Echevarrìa ha selezionato gli scritti, apparsi tra il 1998 e il 2003, e ha suddiviso il libro “in sei parti principali, precedute da un breve autoritratto e seguite da una delle ultime interviste concesse da Bolaño prima di morire”. “Tutti i testi qui raccolti – aggiunge Echevarrìa – furono scritti ‘tra parentesi’, ossia in margine all’incessante attività creatrice che inevitabilmente traspare da queste pagine” e che, con l’ultimo capolavoro 2666 ha confermato Bolaño “come un romanziere assolutamente fuori serie, decisivo”.
Per chi conosce e ama la voce di Bolaño, anche quella solo apparentemente minore dei racconti, i testi di Tra parentesi sono come un ritorno a casa. Solo lui infatti può scrivere a proposito della letteratura argentina contemporanea: “Ha tre linee di riferimento. Due sono note a tutti. La terza è segreta”. Ecco, questa via segreta, questa capacità di essere ossessivo e distante, sono la cifra dello scrittore cileno, per il quale la scrittura di qualità è “saper ficcare la testa nel buio, saper saltare nel vuoto, sapere che la letteratura è fondamentalmente un mestiere pericoloso”. Tutte quelle sensazioni che la lettura (e lo stesso scrittore ci dice “sono molto più felice quando leggo che quando scrivo”) dei romanzi e dei racconti di Bolaño ci hanno suscitato in maniera evidente, ma spesso oscura, qui trovano una loro collocazione coerente, che aumenta nel lettore la sensazione di averla sempre avuta sotto gli occhi quella verità, senza essersene accorto, forse stordito dalla meraviglia della pagina letteraria.
La quantità delle suggestioni degli scritti di Bolaño è enorme, possiamo scegliere solo qualche citazione: “Ogni letteratura reca in sé l’esilio, non importa che lo scrittore sia stato costretto ad andarsene a vent’anni o non si sia mai mosso di casa. Probabilmente i primi esuli di cui si abbia notizia furono Adamo ed Eva”. Viene in mente la Bibbia, certo, ma anche Kafka, che raccontò il suo esilio interiore di impiegato in una grande impresa di assicurazioni e morì per non dover vivere l’esilio del corpo che avrebbe rappresentato Auschwitz. Borges, Neruda, Gombrowicz, Dick, Joyce: negli articoli di Bolaño sfilano i grandi nomi della letteratura universale insieme a molti autori sudamericani a noi pochissimo noti, ma attenzione, ci ricorda il cileno, il primo requisito di un capolavoro è passare inosservato. Dal labirinto verbale si esce solo per entrare in un altro, e via così. Se volessimo provare a trovare un punto fermo, in tutto questo mare di incertezze e dolore – che traspare dai molti riferimenti alla dittatura di Pinochet – forse potremmo scegliere la reazione di Bolaño dopo un incontro con il pur amato poeta Nicanor Parra: “La cosa migliore da fare è filarsela di corsa, la cosa migliore è cercare un’uscita da quel pozzo asimmetrico e tagliare la corda in silenzio, mentre i passi di Nicanor risuonano su e giù lungo il corridoio”. Leggere Bolaño, grosso modo, è una magnifica esperienza di questo tipo.