Il talento di Don DeLillo. Di questo tratta la raccolta di
racconti L’angelo Esmeralda (Einaudi),
che riunisce short story del grande scrittore americano scritte tra il 1979 e
il 2011 e pubblicate ora per la prima volta in un volume che è antologico in
più di un senso. Se infatti mette uno accanto all’altro testi tra loro
cronologicamente molto lontani, e quindi è quasi una archeologia della
scrittura di DeLillo (oltre che un’opportunità di scoprire quanto questa voce
fosse già straordinaria negli anni Settanta, come peraltro sanno bene i lettori
di un romanzo come Giocatori), ma è
pure una campionatura dei suoi grandi romanzi, che nei racconti appaiono, in un
certo senso, rivisitati. Se Esmeralda e suor Edgar sono personaggi che
ritornano nel capolavoro Underworld
(e il racconto che dà il titolo alla raccolta è di soli tre anni precedente al
romanzo monstre che lo ha poi inglobato), più sottili sono i legami, per esempio,
tra il primo racconto, Creazione del
1979 e le riflessioni sulla coppia (e sulla società sconnessa che la circonda)
già magistralmente affrontate proprio in Giocatori
del 1977. Falce e martello del 2010 richiama
alla mente il profetico Cosmopolis
del 2003: se la distanza cronologica appare significativa, in realtà in mezzo
si colloca lo spartiacque di quella crisi economica globale che il romanzo
aveva, in maniera quasi stupefacente, previsto anni prima e che ora DeLillo può
affrontare con tutta l’esperienza che la realtà (per come viene comunemente
intesa) ha aggiunto alla sua allucinata visione. Baader-Meinhof (2002), infine fa pensare chiaramente alle
ambientazioni del quasi contemporaneo Body
Art (2001), con anche una straniante contiguità con il prologo artistico
dell’ultimo romanzo finora pubblicato dallo scrittore americano Punto Omega del 2010.
Un elenco non è esattamente la cosa più divertente che si
possa scrivere, ma è utile per capire dove collocare, nel panorama mentale del
singolo lettore più che in un qualche posto codificato, questa raccolta di
racconti, che possono anche sembrare un condensato della grandezza dello
scrittore. Ovviamente il respiro dei grandi romanzi – e oltre a quelli già
citati non si possono non ricordare Rumore
Bianco, I Nomi e Mao II – non può soffiare anche nelle
poche pagine delle short story, ma la lucidità di DeLillo e soprattutto la sua
lingua si mostrano qui, se possibile, ancora più splendenti. Tanto che in più
di un passaggio dei racconti – e nello specifico si possono citare Creazione e L’angelo Esmeralda – il linguaggio, anche nella bella traduzione di
Federica Aceto, sembra letteralmente scatenarsi e avvolgere il lettore in
quella vertigine che è un po’ il marchio di fabbrica di quello che, senza
dubbio, è uno dei più grandi scrittori al mondo. “Le cose più belle dei posti
nuovi – leggiamo in Creazione –
andavano protette dalle nostre stesse grida di gioia. Ci saremmo tenuti dentro
le parole per settimane o forse per mesi, in attesa di quella serata mite in
cui un commento casuale ci avrebbe riportato alla memoria quell’esperienza”.
Che siano turisti che non riescono a lasciare un’isola
tropicale o astronauti in volo sopra la Terza guerra mondiale, che siano broker
in un mondo esploso o suore che cercano la speranza anche nei luoghi più oscuri
delle periferie geografiche e morali, tutti i personaggi di questi racconti di
DeLillo mantengono dritta la barra dell’auto-indagine, di quel “pensarsi” che è
cifra (shakespeariana) e definizione della loro grandezza. Una grandezza che
vive di sospensioni e che si avventura talvolta, come nel caso del “miracolo”
di Esmeralda (il volto della bambina uccisa che compare su un cartellone
pubblicitario quando questo viene illuminato dalle luci di un treno), su un
terreno instabile ma fecondo, quello del ragionamento sulle possibilità. Che
sono in primo luogo quelle della grande letteratura, ma anche quelle di una
ricerca di senso, comune a tutti gli uomini. E come l’acrobata d’avorio dell’omonimo racconto, anche il lettore di
DeLillo cerca di “sfuggire alla sensazione di essere trasportato suo malgrado
verso qualche istante fisso nel tempo”.