09 agosto 2014

Poesia della Guerra nucleare, la End Zone di Don DeLillo

"Cominciò tutto con un libro, un enorme volume che parlava di un possibile conflitto nucleare. Il problema era semplice: quel libro mi piaceva. Mi piaceva leggere della morte di decine di milioni di persone. Indugiavo soprattutto sulla descrizione delle metropoli distrutte. Da cinque a venti milioni di vittime. Da cinquanta a cento milioni". La voce è quella di Gary Harkness, un giocatore di football americano del Logos College, protagonista in prima persona del romanzo End Zone di Don DeLillo, uscito negli Stati Uniti nel 1972, ma tradotto ora per la prima volta in italiano e pubblicato da Einaudi. Un libro in cui, come già accaduto con La stella di Ratner del 1973, si capisce che DeLillo in qualche modo è nato come scrittore già con una sua voce precisa, anche prima dei grandi capolavori successivi. 

Qui l'intreccio mescola il football e la guerra atomica, il gergo e la metafisica, in un modo che resta unico nel panorama della letteratura contemporanea. Così tra il nulla del college texano dove vanno in scena truculenti e cervellotici allenamento e gli scenari apocalittici possibili, e nei primi anni Settanta il pericolo era reale, ecco che DeLillo arriva al cuore del proprio lavoro. "Quello che voglio fare - ha detto lo scrittore in un incontro del 2013 organizzato dalla Library of Congress - è uscire dalla piccole strade strette del mio quartiere e trovare l'America". Un'America che, nei romanzi di DeLillo, assume spesso venature imprevedibili, misteriose e, per molti versi anche mistiche, pur nella messa in scena iperrealista che, magicamente, le contiene e le giustifica.

Nelle scene di campo, nelle geometrie belliche della corsa di un giocatore quanto nella traiettoria di un missile balistico intercontinentale, la lingua di Don DeLillo diventa strumento di ambizione assoluta, sia nel senso delle possibilità della scrittura, sia in quello di arrivare a trattare temi fondamentalmente indicibili, come la distruzione totale. Un argomento che torna periodicamente nella pagina delilliana, come nel caso dello straordinario prologo di Underworld, anche qui un prodigioso incrocio tra la cultura popolare dello sport, in questo caso il baseball, e la scrittura totale del romanziere venuto del Bronx, capace di mettere in scena tanto una partita leggendaria quanto il senso di Trionfo della morte che si viveva quotidianamente negli anni più difficili della Guerra fredda. E tornando a End Zone, in fondo, per noi è impossibile non amare alla follia un romanzo nel quale a una ragazza che chiede se può mettersi il vestito arancione per un appuntamento, l'aitante e problematico Gary risponde dicendo di sì, perché "ti fa sembrare un'esplosione nel cielo del deserto".


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