Dopo aver lanciato in Italia scrittori come Charles D'Ambrosio e Kevin Canty, l'editore Minimum Fax ha scovato un altro virtuoso della short-story americana: si tratta del 38enne Todd Hasak-Lowy, la cui raccolta d'esordio, "Non parliamo la stessa lingua", esce nel nostro Paese in queste settimane. Sette storie discretamente lunghe nelle quali lo scrittore aggiorna la tipologia del racconto con il ricorso a stratagemmi narrativi e scelte stilistiche che spesso disorientano il lettore, lasciando la sensazione di trovarsi davvero davanti a qualcosa di nuovo e importante. Michael Chabon, uno dei guru della letteratura americana contemporanea, ha definito Hasak-Lowy "un nuovo stupefacente talento" e i suoi racconti "storie accessibili nella loro modernità, già classiche nel loro tono autorevole". Un giudizio molto lusinghiero che coglie nel segno: con il loro mix di riferimenti sociologici, storici, quotidiani, i racconti di Hasak-Lowy mettono il lettore di fronte al nostro presente, interpretato attraverso la lente di un narratore che dimostra di avere interiorizzato con finezza la modernità, con le sue miserie e le sue ossessioni, ma anche le grandi possibilità ironiche (e talvolta meta-letterarie) che essa fornisce allo scrittore.
Il dramma privato di un rancoroso barista del Museo dedicato agli ebrei vittime delle persecuzioni naziste; la strana metodologia di dieta proposta da una compagnia di guardie del corpo; un inconsueto colloquio di lavoro; una storia che mischia la ricerca di un portafogli, una guerra nucleare "limitata" e una buona dose di espedienti da "racconto nel racconto"; la morte di un uomo su una cyclette. Le storie di Todd Hasak-Lowy trattano di argomenti diversi, ma quello che li accomuna è lo stile dello scrittore, in questo erede della più grande tradizione ebraica, che gli permette di unire, sotto l'egida di una ironia poco appariscente ma implacabile, aspetti di narrativa a dati statistici sulla popolazione obesa, storie di fantapolitica e modesti problemi quotidiani, fino a diventare egli stesso, lo scrittore Hasak-Lowy, protagonista di una delle vicende che lui racconta.
Storie come "Il colloquio di lavoro" hanno qualcosa di Kafka, ma ci parlano della nostra vita quotidiana e della nostra società con una lucidità sorprendente. Altre, come "La Nazione dei predatori", sono costruite con tempi narrativi perfetti. Altre ancora, come "Il compito di questo traduttore" o "La fine del portafogli di Larry", riescono a indagare con acutezza nei malesseri più striscianti dei rapporti quotidiani tra le persone, accostandoli sorprendentemente con grandi eventi globali. Fino adarrivare a "Come morì il padre di Keith", un racconto dove quest'uomo è identificato solo come il genitore di suo figlio, ma di quest'ultimo la storia non tratta in nessun modo.
"Non parliamo la stessa lingua" è un libro che segna un momento importante per il racconto americano e Todd Hasak-Lowy ha dimostrato di saper rinnovare la tradizione della short-story. Nel 2008 uscirà negli Usa il suo primo romanzo, una nuova sfida che sarà interessante seguire.
20 ottobre 2007
15 ottobre 2007
Piccole ossessioni giapponesi
Una ragazza che ha subito una piccola mutilazione a un dito accetta di lavorare come assistente nel laboratorio del signor Deshimaru, dove si preparano “esemplari”. Lentamente scivolerà in una strana storia d’amore e ossessione, venata di feticismo, che la avvinghierà a un uomo e a un paio di scarpe da cui non sarà più in grado di staccarsi. “L’anulare”, romanzo del 1994 della scrittrice giapponese Ogawa Yoko che viene ora pubblicato in Italia da Adelphi, è una storia misteriosa e rarefatta che, pur nella sua brevità, trascina il lettore in universo straniante e magnetico, nel quale non manca una, neppure tanto strisciante, inquietudine.
In una sorta di originale mix tra il Kawabata de “Il paese delle nevi”, di cui conserva certe atmosfere opprimenti, i film del regista coreano Kim Ki-duk, a cui è legata dall’indagine sui rapporti ossessivi, eppure amorosi e le storie brevi della nuova star della letteratura francese Amélie Nothomb, Ogawa costruisce un libro che offre al lettore occidentale uno sguardo nuovo sulla società giapponese, nella quale convivono aspetti tradizionali (il rapporto uomo-donna, la cortesia) e altri sorprendenti (il feticismo, il diffuso ricorso alla misteriosa produzione del laboratorio di esemplari). Ma quello che è il cuore del libro è lo sguardo, tra il disincantato, l’ingenuo e l’ossessivo, della giovane protagonista che, pur apparendo spesso una pedina manovrata da altri, in realtà persegue con ostinata noncuranza la propria scelta. E in fondo anche questo è amore.
Nata nel 1962 a Okayama, Yoko è considerata una delle “ragazze terribili” della nuova letteratura giapponese e ha già ricevuto numerosi premi nel proprio Paese. E, come i personaggi del suo romanzo, anche lei sembra essere riuscita a fissare sulla pagina il modo lieve e misterioso nel quale si manifestano le ossessioni, oltre che a creare un oggetto letterario di forza narrativa non consueta.
In una sorta di originale mix tra il Kawabata de “Il paese delle nevi”, di cui conserva certe atmosfere opprimenti, i film del regista coreano Kim Ki-duk, a cui è legata dall’indagine sui rapporti ossessivi, eppure amorosi e le storie brevi della nuova star della letteratura francese Amélie Nothomb, Ogawa costruisce un libro che offre al lettore occidentale uno sguardo nuovo sulla società giapponese, nella quale convivono aspetti tradizionali (il rapporto uomo-donna, la cortesia) e altri sorprendenti (il feticismo, il diffuso ricorso alla misteriosa produzione del laboratorio di esemplari). Ma quello che è il cuore del libro è lo sguardo, tra il disincantato, l’ingenuo e l’ossessivo, della giovane protagonista che, pur apparendo spesso una pedina manovrata da altri, in realtà persegue con ostinata noncuranza la propria scelta. E in fondo anche questo è amore.
Nata nel 1962 a Okayama, Yoko è considerata una delle “ragazze terribili” della nuova letteratura giapponese e ha già ricevuto numerosi premi nel proprio Paese. E, come i personaggi del suo romanzo, anche lei sembra essere riuscita a fissare sulla pagina il modo lieve e misterioso nel quale si manifestano le ossessioni, oltre che a creare un oggetto letterario di forza narrativa non consueta.
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