Una ragazza che ha subito una piccola mutilazione a un dito accetta di lavorare come assistente nel laboratorio del signor Deshimaru, dove si preparano “esemplari”. Lentamente scivolerà in una strana storia d’amore e ossessione, venata di feticismo, che la avvinghierà a un uomo e a un paio di scarpe da cui non sarà più in grado di staccarsi. “L’anulare”, romanzo del 1994 della scrittrice giapponese Ogawa Yoko che viene ora pubblicato in Italia da Adelphi, è una storia misteriosa e rarefatta che, pur nella sua brevità, trascina il lettore in universo straniante e magnetico, nel quale non manca una, neppure tanto strisciante, inquietudine.
In una sorta di originale mix tra il Kawabata de “Il paese delle nevi”, di cui conserva certe atmosfere opprimenti, i film del regista coreano Kim Ki-duk, a cui è legata dall’indagine sui rapporti ossessivi, eppure amorosi e le storie brevi della nuova star della letteratura francese Amélie Nothomb, Ogawa costruisce un libro che offre al lettore occidentale uno sguardo nuovo sulla società giapponese, nella quale convivono aspetti tradizionali (il rapporto uomo-donna, la cortesia) e altri sorprendenti (il feticismo, il diffuso ricorso alla misteriosa produzione del laboratorio di esemplari). Ma quello che è il cuore del libro è lo sguardo, tra il disincantato, l’ingenuo e l’ossessivo, della giovane protagonista che, pur apparendo spesso una pedina manovrata da altri, in realtà persegue con ostinata noncuranza la propria scelta. E in fondo anche questo è amore.
Nata nel 1962 a Okayama, Yoko è considerata una delle “ragazze terribili” della nuova letteratura giapponese e ha già ricevuto numerosi premi nel proprio Paese. E, come i personaggi del suo romanzo, anche lei sembra essere riuscita a fissare sulla pagina il modo lieve e misterioso nel quale si manifestano le ossessioni, oltre che a creare un oggetto letterario di forza narrativa non consueta.
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