Difficile che una biografia di un grande sociologo (ma chissà se questa definizione ha anche solo una piccola dose di pertinenza...) possa essere uno dei libri per l'estate che sta già scoppiando in tutta Italia. Eppure Marshall McLuhan di Douglas Coupland, ennesimo bel colpo della casa editrice milanese Isbn, è un libro che ha tutte le caratteristiche per candidarsi a questo difficile ruolo, normalmente affidato - forse con un misto di snobismo e di pilatesca astuzia - ai grandi bestseller. In primis c'è il personaggio di cui si narra, il leggendario massmediologo (definizione brutta, ma questa volta più pertinente) canadese che, tanto per dirne due, coniò l'espressione "villaggio globale" e il mantra di tutto i futuri radical-geek: "Il medium è il messaggio". In secondo luogo c'è il narratore, Douglas Coupland, canadese pure lui, che è uno dei più grandi - e acuti, seppur sempre con un elemento di meravigliosa distonia - interpreti della contemporaneità. Non voglio citare il cult Generazione X e neppure il recentissimo e superbo Generazione A, mi basta ricordarlo per romanzi "minori" come Fidanzata in coma, fuori catalogo ma cercatelo nei mercati dell'usato, o libri indefinibili e commoventi come La vita dopo dio. Il risultato è un altro oggetto anomalo, un libro che ammicca alla grafica del Dos (qualcosa di perfetto nel modo in cui è perfetto lo Sfero di Parmenide o la voce di Hal9000 nella versione italiana di 2001 Odissea nello spazio) e gioca con passione la partita di ricordare al mondo il genio visionario di un fanatico cattolico con seri disturbi cerebrali e un'anomalia rarissima nell'afflusso di sangue alla testa che vide e descrisse la nostra società anni, se non lustri o decenni, prima di tutti gli altri.
L'occasione del libro - ed è bello pensare che un'occasione serva ancora, anche per una biografia così proteiforme - è il centenario della nascita di McLuhan, che cade il 21 luglio di quest'anno. Ma di lui, in sostanza, si continua a parlare da quasi 50 anni, come Coupland, in un lungo excursus nella vita pre-celebrità di McLuhan, mette in risalto sotto molti punti di vista, talvolta prevedibili talaltra davvero eterodossi. Come il già citato aspetto della malattia, decisiva nel definire il carattere di "Marshall", come confidenzialmente viene chiamato nelle pagine del libro. L'effetto, e Coupland lo dice come ambizione della sua biografia, è quello di una "patografia", un'analisi che mette sul tavolo tanto le visioni geniali di un uomo che sembrava capace di pensare nel futuro - mentre viveva cercando disperatamente di ancorarsi al passato e alle tradizioni, dato che Coupland mette in risalto molto spesso, giustamente - quanto il suo soffrire di piccoli ictus frequenti, insomma come, scrive Tommaso Pincio in una notevole recensione del libro, se non avesse tutte le rotelle a posto. E proprio Pincio, commentando una delle grandi intuizioni di McLuhan sulla rivoluzione informatica, coglie il fascino contraddittorio che fa da spina dorsale all'intera biografia. "Scrisse questa fedele prefigurazione di Internet - nota il romanziere - quando nemmeno gli alti dirigenti dell'Ibm immaginavano il dilagare di dispositivi quali personal computer e smartphone. Scrisse ciò e altro quando, avendo superato i cinquanta, era ormai 'un babbione in giacca a quadri', un signore di mezza età per nulla attrezzato a calarsi nel ruolo di polo d'attrazione delle feste e dei cocktail cui veniva regolarmente invitato". Già, perché McLuhan detestava il villaggio globale e viveva con malcelato disagio anche il rapporto con gli hippie che lo veneravano come un guru... Insomma, Coupland è bravissimo a mostrare quante contraddizioni ci fossero nel personaggio, ma al tempo stesso quanta preveggenza e forza innovativa si propagò durante il momento McLuhan, in qualche modo epicentro del salto intellettuale che ci ha preparati al presente iper mediatizzato.
Ci sarebbe molto, moltissimo altro da dire. Ma forse basta uno dei tanti aforismi di Marshall McLuhan che Coupland ha sparso nel suo libro (che sembra quasi un'installazione artistica, ovviamente multimediale): "L'arte è qualcosa con cui si può sempre farla franca". Sia che ti chiami McLuhan, sia che ti chiami Coupland, verrebbe da dire. Un hurrà per entrambi.
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