09 febbraio 2012

Coupland, un'altra Apocalisse (ma con speranza)

La guerra nucleare è un totem segreto davanti al quale –  rigorosamente in orario d’ufficio, indossando cravatte e pullover molto simili e utilizzando i social network – i fan di Douglas Coupland si ritrovano puntualmente a prestare una silenziosa invocazione, al tempo stesso atterrita e affascinata. Questa volta, però, nell’ultima edizione dell’Apocalisse secondo il grande scrittore canadese, la bomba atomica non c’entra (anche se un paio di volte una sorta di fungo nucleare appare all’orizzonte, ma è solo una deformazione percettiva dell’autore e della sua generazione che sono cresciuti con una solo immagine di esplosione, L’Esplosione) e a mandare in frantumi il mondo per come lo conosciamo è una repentina e spaventosa crisi petrolifera, seguita dall’avvento di una nube tossica, forse omaggio all’indimenticato Evento tossico aereo di Rumore Bianco di Don DeLillo.

Le ultime 5 ore, pubblicato da Isbn a pochi mesi di distanza da un altro grande romanzo visionario e couplandiano come Generazione A (e ancora meno dal suo magnifico saggio su Marshall McLuhan), è la storia di cinque persone in una “squallida” sala da cocktail di un albergo accanto a un aeroporto che, da quel microcosmo iperrealista, vedono accadere l’inimmaginabile. Una trama forte, dunque, articolata su una narrazione policentrica ma potabile, che dietro l’apparenza nasconde però i temi classici e le riflessioni di Coupland, sul concetto di “tempo lineare” e, in fondo, sul senso della vita. E solo da uno scrittore come Coupland si può accettare, anzi farlo con entusiasmo, una frase come questa: “Brindo a chiunque su questa Terra sia mai stato ansioso, anzi, disperato di scoprire anche il minimo segno dell’esistenza di qualcosa in noi che sia più bello, grande e miracoloso di quanto potevamo immaginare”.

A pronunciare questa magnifica frase è probabilmente il personaggio più importante del romanzo, Rachel, una sorta di top model autistica, incapace di distinguere i volti degli altri e di comprendere le metafore. Al di là della finezza di Coupland – che sceglie di mettere tutti quei problemi nel corpo di una ragazza mozzafiato, ribaltando così in un colpo solo una buona dozzina di cliché – il personaggio presenta una serie di complessità che, sommate, ne fanno una sorta di Eva al contrario, qualcosa come l’Ultima donna, che per una sorta di miracolo metaforico – lei, che le metafore non le capiva – si trasforma nel primo essere umano della “Nuova Normalità” che viene dopo la catastrofe. Perché la vera novità per i lettori di Coupland, quelli (come Kilgore) che hanno amato libri fuori dal comune come Fidanzata in coma o La vita dopo Dio, è proprio in questa speranza che Rachel, che è anche il misterioso deus ex machina della storia – e dello spaziotempo – significativamente chiamato Giocatore Uno, si fa carico di portare alla fine del romanzo. 

Dunque dopo il disastro, dopo il fallimento spaventoso e violento della nostra società vorace di petrolio, qualcosa – la vita! – continuerà a esistere uguale e diversa al tempo stesso rispetto a ciò che abbiamo conosciuto finora. E’ un apologo? E’ letteratura moralisteggiante? Qualcuno potrebbe sicuramente dirlo, ma è probabile che non colpirebbe nel segno, perché Coupland è uno scrittore che, nonostante alcune apparenze, è pressoché impossibile da rinchiudere in una definizione predigerita. E il nostro destino, così come l’idea del tempo, sono concetti che la sua penna “post-qualunque cosa” è in grado di mostrarci in una luce che risulta sempre nuova, capace di lasciarci abbagliati più di una volta.

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