L'Italia di oggi, senza pudori
né reticenze, ma neppure senza quella dose di empatia umana (e in fondo
disperata) che sembra essere l'unica zattera a cui aggrapparsi per tentare di
non sprofondare nella disperazione. Resistere non serve a niente,
l'ultimo romanzo di Walter Siti che esce per Rizzoli (e lo stesso autore
ci informa che alla Mondadori lo avevano
apostrofato con un perentorio "Sei tornato a scrivere un libro per froci"),
è un’opera - come direbbe Carlo Lucarelli - che fa paura, per quanto inclemente
è lo sguardo sul nostro presente e sulle sue inenarrabili brutture. Ma è anche
un'opera straordinaria, che arriva al livello del precedente Troppi
paradisi, e forse lo supera, e colloca Siti sul trono, indiscusso per
quanto forse neppure tanto piacevole, di Grande romanziere italiano, con buona
pace della pletora di premi letterari e del loro estenuante corredo di liquori,
bancarelle e campielli. "Non si scrive quello che si vuole - leggiamo
nelle prime pagine - si scrive solo quello che si può". E quello che Siti
riesce a fare è raccontare, con il suo stile scorticante e al tempo stesso
affettuoso, i lati oscuri dell'economia globale - persa in quel mare nero fatto
di derivati, cds, opzioni al ribasso - scegliendo di costruire la sua storia
intorno a un personaggio pragmaticamente sitiano (e quindi versione aggiornata
della lezione di Pasolini, di cui Siti è attento curatore dell'opera omnia)
come il giovane (ma moralmente anziano) e colluso Tommaso Aricò.
Il contesto, e la scelta
strutturale della narrazione, sono altre tracce inequivoche della mano di Siti,
vero cantore degli anni della televisione di massa e della società cresciuta
all'ombra del tubo catodico ma capace, con un'operazione che fa pensare a David
Foster Wallace (ossia al più grande), di non porsi nella posizione giudicante,
ma di calarsi completamente nel sistema, come sempre in prima persona e con
tanto di nome e cognome, fino a diventare un cronista che tribunali poco
lungimiranti potrebbero perfino accusare di favoreggiamento. Ma più che
l'ultima parte del romanzo, quella dedicata in maniera esplicita a raccontare
come la criminalità organizzata si sia infiltrata in tutti i settori
dell'economia legale e come il Sistema (per citare Saviano, ma qui, occorre
dirlo, siamo molto lontani dalla poetica dello scrittore campano, che dal punto
di vista artistico non è neppure lontanamente paragonabile a Walter Siti, con
buona pace di tutti) abbia fondamentalmente corroso quasi tutto, compresi
persino i cuori umani. Qui però, ed ecco dove brilla il talento dello scrittore
modenese, la (potenziale) redenzione parte dall'andare vicinissimo a questi
stessi cuori e qui si colloca la figura di Tommaso: orrendo, sgradevole,
criminale, ma anche umano come solo un ex bambino obeso (raccontato da uno
scrittore gay che in casa ostenta ritratti di giovani culturisti) può essere.
"La finanza - scrive Siti - ha surrogato l'obesità nel funzionare come
antidoto al senso di colpa, come intercapedine tra sé e i desideri troppo
personali; anche il denaro, come il cibo non racconta che se stesso: è anonimo
e non distingue tra buoni e cattivi". Tutto, e la giustificazione di tutto
(compreso il politically correct e l'eticamente corretto), parte da qui. E,
come recita il titolo del libro, di fronte a questo sistema "resistere non
serve a niente".
A ulteriore (seppur non
necessaria) conferma della grandezza abnorme del romanzo, lo scrittore pone un
epilogo pirandelliano nel quale il narratore Walter Siti parla con il suo
personaggio Tommaso Aricò usando queste parole: "Forse sei il mio
stunt-man, quello che esegue per me le scene pericolose… un prototipo della
mutazione…o forse, più in profondità, sei il mio vendicatore". E poco
oltre la vertigine si fa, se possibile, più acuta. "Dichiarerò che sei un
frutto della mia immaginazione… questo è il vantaggio dei romanzi… ti ho
delegato a vivere temi che sono i miei… in pratica ho scritto un romanzo per
procura". Il risultato è da togliere il fiato, in tutti i sensi. E se in
America la querelle sul Grande romanziere a stelle e strisce vive spesso di
diatribe, in Italia possiamo dire di avere trovato la risposta, almeno a
tutt'oggi.