16 marzo 2007

Kitano e l’amore impossibile

L'amore impossibile secondo Takeshi Kitano. A guardare da lontano il bellissimo film “Dolls” del 2002, e a leggere quanto dichiara lo stesso regista giapponese, questo dovrebbe essere il senso della sua opera (forse) più bella. Ma in realtà “Dolls” è un grandissimo film sull'amore a tutto tondo, in particolare sulla sua natura contraddittoria e intrinsecamente destinata alla delusione. Non è però – secondo Kilgore che di Kitano è un grande ammiratore - la negazione dell'amore quella cui si arriva, bensì la sua sublimazione, la sua perfezione devastante, quello che per Walt Withman è il noto "midollo della vita". Una teologia negativa, venata pure di violenza, ma straordinariamente struggente, un'aspirazione quasi alla Lessing a una purezza impossibile (perché il giovanotto si piega "al successo", perché lo yakuza sceglie il clan, perché il fanatico rinuncia a vedere la sua amata) ma in fondo appagante. E forse questa è la vera essenza della vita. Forse.

La vicenda tocca tutte le corde del romanticismo, ma Kitano è sempre abbastanza burbero da non diventare melenso, mentre una componente melodrammatica è indispensabile - Casablanca docet - e serve a portare il film due passi al di sopra della media. Kilgore confessa addirittura due momenti di lacrima: quando lo yakuza ritrova la donna che per anni lo aveva aspettato su una panchina il sabato e quando la ragazza si ricorda del ciondolo. Straordinario: viaggio alla radice profonda dei sentimenti umani.

Molto buono poi anche a livello di immagini: i colori sono potenti, la macchina da presa si muove con la disinvoltura di un autodidatta di genio e la violenza è sempre solo immaginata (e quindi più impattante). Eccezionali i silenzi alla Kitano e la devastazione muta dei protagonisti. E’ vero, talvolta al regista sfugge qualche inquadratura un po’ di maniera, ma il peccato mi pare veniale. Inquietantissimi i personaggi del teatro medievale Bunraku (Kilgore deve le spiegazioni tecniche all’amica Yoshino, grande esperta di cultura giapponese) che hanno occhi che indagano direttamente lo spettatore e sottendono la storia profonda dei due vagabondi legati, che trovano pace nel doppio suicidio, lo shinjuu.

Un’ultima cosa: mi pare che “Dolls” abbia molti punti in comune con i film di Kim Ki-duk. Che i due autori si siano influenzati a vicenda?

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