Arrivano improvvisamente in città senza che sia chiara la loro provenienza, spesso sconvolgono la vita di diverse persone e dopo il loro passaggio le cose non saranno mai più come prima. Sono i bambini che compaiono in diversi, magistrali racconti di Truman Capote, scrittore la cui abilità straordinaria per la short-story è stata forse un po’ trascurata. Eppure la nuova antologia completa edita da Garzanti (“La forma delle cose”) è un libro di grandezza inusitata, che celebra degnamente il talento di uno scrittore visionario come pochi, maestro di stile ma anche di mistero, come molti dei suoi racconti stanno lì a dimostrare. Recensendo il libro Pietro Citati si è soffermato proprio sui bambini di Capote, che sembrano essere degli alieni caduti sulla Terra da chissà quale misterioso pianeta e, come insegna la migliore fantascienza, queste enigmatiche figure in fondo restano sempre inconoscibili, per quanto noi si tenti di stabilire un contatto con loro, se non altro scrivendo o leggendo le loro storie.
Appleseed, miss Bobbit, Miriam. Tre bambini che sconvolgono. I primi due una città, la terza la vita di un’anziana signora. Tutti e tre noi lettori. Hanno doti fuori dal comune (come esponenti di una civiltà extraterrestre) e fanno cose che non si riesce a spiegare: Appleseed conta tutti i nichelini contenuti in un grande boccale; miss Bobbit strega una comunità intera con i suoi modi di fare e la sua abilità di ballerina; Miriam appare e scompare nei modi e nei momenti più improbabili e liberarsi di lei è impossibile. Kilgore sa che nessun critico dotato di senno, e che tenga un minimo alla sua reputazione, si azzarderebbe mai a sostenere che Capote è un grande scrittore di fantascienza, ma forse, da questa nostra modesta tribuna, possiamo azzardarci a pensare che possa essere anche un maestro occulto della science-fiction. In fondo ciò che noi possiamo capire di questi bambini-alieni non è molto diverso da ciò che gli esploratori galattici di Arthur C. Clarke (che Kilgore da sempre preferisce ad Asimov, non ce ne voglia il caro basettone) sanno delle immense statue abbandonate da civiltà extraterrestri ormai scomparse. In fondo la solitudine di questi ragazzini, che Capote ha la magnetica intuizione di descrivere come se fossero adulti, è la stessa che coglie la sentinella galattica di Fredric Brown o l’impostore di Phil Dick... azzardato? Senza dubbio. Però, almeno per Kilgore, molto affascinante.
Non ce ne voglia l’ottimo Truman, che certamente non pensava a se stesso come a uno scrittore di fantascienza, genere da sempre – quanto ingiustamente! - relegato ai margini della grande cultura che invece Capote frequentava da legittimo protagonista. Ma noi che amiamo tanto racconti alti come “Il falco senza testa” di Capote, quanto avventurosi come “Il duello” di Brown, forse possiamo permetterci il paragone. Che si arricchisce di umori alieni se ai bambini di Truman aggiungiamo anche le straniate ragazze che popolano i suoi racconti con una dolcezza misteriosa che ci rimanda ad altri luoghi (altre voci... altre stanze), dove – proprio come su un altro pianeta – vigono regole diverse, che noi non sempre possiamo capire. Psicologia spicciola magari, che però nelle mani di Truman Capote diventa un oggetto splendente e unico, un po’ come l’uovo di cristallo di H. G. Wells. E così, chissà che il cerchio non si chiuda.
2 commenti:
MI hai fatto venire una gran voglia di leggere questo capote con i bambini spiritati. Mi sa che me lo ordino in VO. Grazie per la dritta!
:-) io, non so perché, lo snobbavo Capote... invece era straordinario e se ne stava lì, mi guardava... e io non lo sapevo!
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