Jules e Jim: il più celebre triangolo amoroso del cinema d’autore o, almeno, il più delicato, quello che – grazie al cielo – esclude le situazioni da Attrazione fatale e prova anche a raccontare la più difficile tra le amicizie maschili: quella di due uomini che amano la stessa donna . Prima del film viene però il romanzo di Henry-Pierre Roché, pubblicato in Francia nel 1953 e passato sostanzialmente inosservato. L’autore debuttò sulla scena letteraria a 74 anni, pur con un libro che viene definito, ed è per molti versi, adolescenziale.
Il titolo avrebbe dovuto essere Un amitié, e questo è un segnale sul senso profondo della storia di Roché. Il romanzo ha una qualità fondamentale, soprattutto nella prima parte: quella della leggerezza, che la mano magica di Truffaut riesce a trasferire in tutto il film. La storia di Roché è autobiografica, con lui stesso nella parte del francese Jim, lo scrittore Franz Hessel in quella di Jules e la bellissima Helen Grund che nel romanzo diventa Kathe, poi trasformata in un più accessibile Catherine nel film. L’interesse però, più che sul gioco del romanzo a chiave, sta nella originale universalità della storia che racconta e nello stile – rapido, ironico, lieve – che lo scrittore ha scelto per raccontarla
In questo senso la prima parte del libro, quella in cui non c’è Kathe, è meravigliosamente felice e ricca di sensualità. Quello che colpisce è la non dissolutezza di Jules e Jim, pur nel loro sereno dongiovannismo. La seconda parte, pur introducendo il personaggio di Kathe che è memorabile, è artisticamente più debole, forse perché soffre del coinvolgimento autobiografico di Roché. Quella brillantezza di linguaggio e quelle frasi brevi che erano il tesoro della prima parte un po’ poi si perdono. Fino alla gestione, mirabile, del finale choc.
Truffaut scoprì il libro prima di diventare regista e se ne innamorò perché lo trovò “una dimostrazione dell’impossibilità di qualunque combinazione amorosa al di fuori della coppia”. Scrive il regista: “Leggendo Jules e Jim ebbi la sensazione di trovarmi di fronte un esempio di ciò che il cinema non riusciva mai a fare: mostrare due uomini che amano la stessa donna senza che il pubblico possa fare una scelta affettiva tra questi personaggi, tanto si trova costretto ad amarli tutti e tre nella stessa misura”. E per Truffaut il loro triangolo è “Un amore puro a tre”.
La sintassi di Roché, che è parte integrante della storia, si trasferisce nel film in scene brevi, intervallate da dissolvenze e altri escamotage “di passaggio” e, soprattutto nelle più belle riprese da nouvelle vague: Jules, Jim e Catherine che vanno per le strade di Parigi con lei vestita da uomo, i tre al mare o nella palestra di pugilato, oppure ancora nella meravigliosa scena di loro che corrono in bicicletta insieme all’ambiguo Albert. In questi momenti il film, come scrive Fernaldo Di Giammatteo nel Dizionario dei capolavori del cinema, “emana un acuto senso di libertà, che una mobilissima macchina da presa esprime cogliendo gioie, tristezze e piaceri dei protagonisti”. E anche i movimenti delle inquadrature, a volte bruschi e apparentemente amatoriali, sono la traduzione tecnica dei quella semplicità di vita che è la cifra migliore del racconto di Roché. Le musiche di Georges Delerue, quasi sempre felici, a volte più intimiste, contribuiscono all’atmosfera magica del film.
Truffaut voleva che Jules e Jim – opera che resta sostanzialmente fedele al romanzo di Roché, pur con piccole licenze e qualche semplificazione di trama e personaggi – fosse un film non “alla moda”. Il modello per il regista sono stati i “filmetti della MGM” della metà degli anni Quaranta, “film – spiega Truffaut – che avevano l’unico difetto di essere convenzionali, ma che rendevano bene l’idea di un grosso libro di ottocento pagine, con gli anni che passano e i capelli bianchi che fanno la loro comparsa”. Il libro di Roché non è lungo, ma – grazie a una sapiente gestione del tempo che, per esempio, liquida la Prima Guerra mondiale in poche righe – è lungo l’arco temporale che copre e, soprattutto, l’arco sentimentale che descrive.
Il film, vietato ai minori di 18 anni e in Italia quasi messo al bando, rappresentava anche una sfida alla morale comune del tempo. In questo senso le opere di Roché e Truffaut sono assolutamente speculari (seppur le immagini siano del tutto e totalmente pudiche, mentre le parole sono spesso più allusive ed esplicite): i tre protagonisti non sono immorali, sono dotati di una moralità diversa, ma non meno pura. La moralità dell’amicizia e dell’amore assoluto, sciolto. Potremmo dire che sono esempi viventi del migliore relativismo, unico antidoto - se ben usato - contro tutti gli integralismi.
Scrive ancora Truffaut: “La sceneggiatura di Jules e Jim non piaceva alla gente. I distributori dicevano: la moglie è una puttana, il marito sarà un personaggio grottesco, eccetera. La scommessa, per me, era che la moglie commuovesse (senza ricorrere a mezzi melodrammatici) e non fosse una puttana, e che il marito non fosse ridicolo. Mi piace tentare di arrivare a una cosa che non è chiara all’inizio”.
Un’ultima notazione sugli attori: giustamente celebrata Jeanne Moreau, che impersona il personaggio più complesso e difficile rendendo bene il senso di costante sofferenza che arde sotto l’apparente spensieratezza anarchica. “Le sue qualità di attrice e di donna – scrive il regista – rendevano Catherine reale sotto i nostri occhi, plausibile, folle, smodata, appassionata, ma soprattutto adorabile, cioè degna di adorazione”. Ma altrettanto notevoli sono le interpretazioni di Oskar Werner, protagonista anche di Fahrenheit 451 dello stesso Truffaut, che è un Jules tenero e ingenuo prima, attonito e provato poi, e quella di Henri Serre, attore debuttante scelto dal regista per la sua somiglianza con Roché, che è un Jim “alto, magro, dolce e onesto”. Nella mimica ridotta e un po’ rigida dei due uomini, che a volte fanno pensare al cinema muto, scorre la morale minima della storia, la sua capacità di parlare con delicatezza anche delle tematiche più ustionanti.
In sintesi: il libro di Roché è un romanzo importante, ma il film di Truffaut come opera d’arte lo supera, perché riesce a coglierne il meglio, rinunciando alle parti più faticose e a volte auto commiseranti del testo di Roché. Grandi libri quasi sempre diventano film deludenti. Libri in qualche modo minori, si pensi all’opera di Kubrick, a volte hanno la forza di diventare capolavori del cinema. Forse questo è il caso di Jules e Jim.
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