Stando alle cronache letterarie, Martin Amis non è un personaggio semplice: le sue invettive e provocazioni lo hanno spesso portato sulle prime pagine dei quotidiani, non solo britannici, quasi mai come modello positivo. E pure certi suoi libri negli anni duemila non hanno brillato in modo particolare. Ma sotto la faccia burbera e una gestione delle proprie doti a volte da figliol prodigo (lui che figlio d’arte di un padre ingombrante lo è davvero), brilla un talento raro, a volte assolutizzante, a volte gestito non benissimo, ma puro. Un romanzo come L’Informazione, è ancora oggi difficile da circoscrivere per la sua importanza e carica visionaria. Altrettanto acuminato è sorprendente è il nuovo La vedova incinta (Einaudi), lettura estiva perfetta per chi non sopporta l’idea stessa di letture estive. Un libro che ha una strana qualità di preveggenza: leggendolo sembra che abbia fatto da (colta) fonte di ispirazione per un bestseller di qualche anno fa come Anime alla deriva di Richard Mason, peccato che la vedova di Amis sia uscita oltre dieci anni dopo...
La storia è, in qualche modo, un romanzo di educazione sentimentale e sessuale per un giovane britannico, Keith (lo stesso nome di uno dei protagonisti de L’Informazione, quasi un feticcio per Amis), che nell’estate italiana nel 1970 vive un trauma amoroso che riuscirà (forse) a gestire solo tre decenni dopo. C’è un triangolo, forse anche qualcosa di poligonale, ma soprattutto c’è il racconto di un desiderio. Abituati come siamo all’accessibilità di qualunque cosa, la qualità della brama controversa di Keith per Scheherazade, ha quella chiarezza offuscata che fa pensare alle pagine del giovane Hemingway parigino, con qui suoi espatriati lievi e disperati. Martin Amis mette in scena la gioventù (e Keith però legge classici della letteratura inglese) all’indomani del Sessantotto e alle prese con gli aspetti problematici della liberazione sessuale, in un contesto di eccitazione (corporale e paesaggistica) che rotola inesorabile verso un climax complesso. Che richiederà anni per essere capito e che a quel punto porterà con sé una nota di rimpianto per il tempo passato, sempre in salsa Amis ovviamente. “Oggi – pensa Keith a un certo punto – le persone invecchiano diversamente. Sembravano giovani in circolazione da troppo tempo. Il tempo gli scorreva accanto ma loro sognavano di rimanere identici”. E poco oltre: “Certo, i non fumatori vivono sette anni di più. Ma quali sette anni verranno sottratti dal dio chiamato Tempo? Non sarà quel momento convulso, mozzafiato tra i ventotto e i trentacinque. No. Sarà quel periodo strafigo tra gli ottantasei e i novantatre”. Grandissimo.
La vedova incinta del titolo è, almeno stando alla citazione di Aleksandr Herzen posta in epigrafe al romanzo (insieme alla voce “narcisismo” del Concise Oxford Dictionary e a un verso di Ted Hughes ripreso da Ovidio), l’eredità lasciata dal mondo uscente. E viene da pensare che quel mondo sia quello, spiazzante, ereditato dopo il grande falò del 1968. Non pare di essere di fronte a un pensiero reazionario, ma di certo a una lettura di quel momento storico che rinuncia a ogni forma di agiografia, per guardare in faccia, come sempre fa la buona letteratura, quel mostro a nove teste che è la vita che ciascuno di noi si trova quotidianamente a dover affrontare. E questo Amis è uno scrittore che, quando riesce a gestire bene il proprio talento, sa farlo in modo quasi impareggiabile.
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