22 agosto 2012

Alan Pauls, il suono sorprendente di una capigliatura

"Non c'è giorno che lui non pensi ai capelli. A tagliarli molto o poco, a tagliarli subito, a lasciarli crescere, a non tagliarli più, a farsi rapare a zero, a radersi la testa per sempre. La soluzione definitiva non esiste. E' condannato a tornare incessantemente sulla questione". Comincia così, Storia dei capelli, romanzo dell'argentino Alan Pauls che rappresenta una nuova e interessante interpretazione del monologo interiore, centrata sull'ossessione di un uomo per la propria capigliatura. Il libro, che esce in Italia per Sur, ha un fascino magnetico che nasce dalla straripante voce di Pauls, capace di ricamare mirabilmente pagine su pagine intorno a pochi, talvolta pochissimi, elementi di trama classici, e di irretire il lettore in un labirinto musicale degno dei più grandi stilisti. Ma, e forse qui brilla il meglio di Storia dei capelli, si tratta di un'opera che resta molto accessibile (cosa che non accadeva del tutto nel precedente e già notevole Storia del pianto), che parla di nevrosi e ossessioni molto concrete, probabilmente più diffuse di quanto si pensi.


La verità in letteratura non esiste, o meglio, ne esistono molte, tutte egualmente "vere". E quella di Pauls in questo romanzo assume in certi momenti, del tutto inaspettati ma poi chiarissimi, la forza di una rivelazione, che si sostiene sulla lingua (davvero qui si capisce quanto sia importante il "come", ben più del "cosa"), ma che vive anche di una sorta di "mistica" della quotidianità, che in fondo è l'unica alla quale ci possiamo realmente avvicinare ogni giorno (ed è comunque una mistica, con tutti gli elementi di confine percettivo-interpretativo che possiamo immaginare). "Tutti i tagli si somigliano - scrive Pauls - tutti sono in qualche modo un solo e medesimo taglio, per il semplice motivo che nessun parrucchiere dà, né potrà mai dare, a chi va da lui a farsi tagliare i capelli, esattamente quello che vuole". Classificatela come volete (pop, postmoderna, ridicola...), ma il terreno su cui ci si sta muovendo qui è quello della filosofia. "Quello che lo fa rabbrividire della morte - leggiamo più avanti - non è la sua capacità di cancellare dalla faccia della terra persone, cose, storie: è la lezione che gli insegna sulla forma del mondo".


In una splendida terza persona, scelta in qualche misura di pudore che nulla toglie all'intensità del personaggio protagonista, Pauls, scrittore ammirato da Roberto Bolaño, che lo definiva uno "strano signore", mostra come i rapporti con un amico inquieto (Monti) e con un misterioso parrucchiere paraguaiano (Celso) possano essere analizzati fino al dettaglio, senza per questo arrivare a un barlume di risposta definitiva, perché in fondo (quanto sarebbe affascinante scomodare Kant o Wittgenstein) gli altri restano inconoscibili, sempre e comunque. E noi per loro. Così che l'esperienza di leggere Storia dei capelli alle volte ci lascia disarmati e storditi dalla meraviglia. "Lo invade - leggiamo a pagina 101 - lo stesso senso di bruciante sbigottimento che coglie certi personaggi finiti nelle maglie di un complotto, onesti padri di famiglia che tornano nel luogo dove la notte prima sono stati catturati, drogati, fotografati a quattro zampe sotto la sferza di un esercito di donne nude, e invece del sordido lupanare tappezzato di specchi che ancora gira come una trottola nella loro testa, trovano la luce triste, i soffitti alti e scrostati, gli impiegati inoffensivi di un irreprensibile ufficio pubblico". Il romanzo ci lascia un po' così, come se tutto fosse, in fondo, solo nella nostra testa. O, chissà, nei nostri capelli.
(Senza scomodare gli agenti del Tristero).

Nessun commento: