09 ottobre 2012

Vulcano 3: un Dick giovane, ma davvero minore?

Scritto nella prima metà degli anni Cinquanta e pubblicato in volume nel 1960 il romanzo d'avventura e paranoia Vulcano 3 viene generalmente considerato dagli studiosi un'opera minore nel vastissimo, e discontinuo, panorama dell'opera di Philip K. Dick. Tommaso Pincio, una delle voci vere della scena letteraria italiana contemporanea, lo ha ritradotto e Fanucci lo ha riportato in libreria con la sempre attenta introduzione di Carlo Pagetti, subito disposto ad ammettere la collocazione periferica del romanzo nella geografia d'importanza all'interno del canone dickiano. Però con tanti e argomentati spunti che, ancora prima di avere iniziato a leggere il romanzo, instillano, quasi fossero le piccole presenze aliene tanto care allo scrittore, più di un dubbio sull'effettiva pertinenza di una valutazione così recisamente severa. Perché in fondo, punto su cui concorda anche Pincio, nelle pagine di Vulcano 3 sono sparse molte perle visionarie e l'impronta della grandezza di Dick, oggi pressoché unanimemente acclamato dopo una vita di ostracismi, già si intravede in più di un passaggio, sebbene in diverse occasioni rischi di venire nascosta dalla polvere della fretta di concludere e da un finale molto debole.


La trama, come sottolinea giustamente Pagetti, si inserisce nel grande filone antiutopico, quello di 1984 di George Orwell per intenderci. Il mondo del XXI secolo ha affrontato devastanti guerre nucleari dalle quali è emerso un unico potere globale, l'Unità, che ha deciso di affidare le sorti del mondo nelle mani, anziché degli inaffidabili e bellicosi esseri umani, in quelle razionali e impassibili dei supercomputer. Il tutto condito dai classici scenari sociali da proto dittatura del pensiero, di navicelle che attraversano gli oceani e, naturalmente, di gruppi sovversivi che mirano a destituire un ordine stabilito, che già di suo mostra parecchie crepe. Vulcano 3 è il nome del cervello elettronico che governa il mondo, dopo aver preso il posto del modello precedente Vulcano 2 e, come è giusto che sia, sarà un soggetto molto ben integrato nel sistema, il direttore del Nordamerica William Barris, a prendere coscienza della situazione e a combattere la sua battaglia per una società più giusta.

A essere debole, in molte parti del romanzo è, oltre a una gestione dei passaggi logici del plot spesso superficiale, una lingua poco curata, che concede molto alla letteratura di genere, riuscendo però solo parzialmente a compensare con la forza visionaria tipica del miglior Dick. Eppure, sotto questa apparente semplificazione, si muovono i fantasmi dello scrittore e la sua penna impellente non può fare a meno di trovare strade che, fino a quel momento, non erano ancora state battute. E così ecco una posizione molto caustica nei confronti anche dei supposti "buoni" della vicenda, il movimento dei Guaritori, che dichiara di battersi per l'umanità contro il potere impassibile delle macchine ("Penso - dice a un certo punto il direttore generale dell'Unità, cioè una figura assimilabile, per restare nella metafora orwelliana, al Grande fratello in persona - che quando un uomo dice di avere la Verità è un truffatore"), e la geniale intuizione di immaginare, anni prima di 2001 Odissea nello spazio, la gelosia tra i computer, oppure ancora le scene di combattimento tra gli umani e i "martelli" agli ordini del computer.



Insomma, la sensazione è che la forza della lezione del Dick dei grandi romanzi, cronologicamente successivi a Vulcano 3, abbia influenzato, borgesianamente, anche i libri precedenti. Al tempo stesso le sue visioni, grazie anche al cinema che le ha amplificate, sono penetrate talmente a fondo nell'immaginario collettivo (postmoderno) da rendere comunque "riconoscibile" anche un libro meno riuscito, ma non così marginale come si vorrebbe.

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