Ultimi giorni a Londra per la grande retrospettiva della
Tate Modern dedicata a Roy Lichtenstein, uno dei padri della Pop Art nonché un
artista che ha ridefinito il concetto stesso di arte contemporanea. La mostra,
ospitata al livello 2 dell'ex centrale elettrica sul Tamigi, resterà aperta al pubblico fino al 27 maggio e, sebbene la Tate sia
tassativa nel non diffondere i dati sull'affluenza del pubblico prima della conclusione
delle esposizioni, la sensazione è di un grande successo, pur a fronte di
biglietti il cui prezzo è allineato con gli alti standard del costo della vita
nella capitale britannica: 18 sterline per una tariffa intera. Visitando la
retrospettiva, però, si comprende come l'investimento sia assolutamente giustificato,
data la sorprendente ricchezza del materiale selezionato in collaborazione con l'Art Institute di Chicago
dalle curatrici Sheena Wagstaff e Iria Candela. In sostanza la mostra presenta
tutto il percorso creativo di Lichtenstein, scomparso a 74 anni nel 1997,
ovviamente in sintesi ma con uno spettro d'indagine votato
all'onnicomprensività, il che si traduce in una reale immersione nel lavoro di
un artista le cui immagini di fumetti sono entrate nell'immaginario collettivo,
ma che, nel corso degli anni, ha affrontato una ben più vasta serie di
tematiche, spesso meno conosciute al grande pubblico.
Così, se la sala War and Romance presenta una
serie di capolavori del, diciamo così, mainstream lichtensteiniano – dalla "Ragazza
che annega del MoMA a M-Maybe del Museo Ludwig di Colonia, da As I Opened Fire dello Stedelijk
Museum di Amsterdam al celeberrimo Whaam! della stessa Tate -
intorno a loro si muovono una serie di momenti che rappresentano il vero valore aggiunto dell'esposizione londinese, tanto per la documentazione
sulla genesi di un fenomeno culturale, rappresentata dai primi fumetti come
l'ormai leggendario Look Mickey del 1961, quanto per l'esplorazione
di altre applicazione della tecnica pittorica del retino di Lichtenstein, dai silenziosi
e commoventi paesaggi marini, uno dei quali è stato scelto per la copertina del
catalogo, ai panorami cinesi, dipinti quasi minimalisti che riescono però a
trasmettere, ridefinendolo, tutto il magico mistero della pittura tradizionale
dell'Impero. E che a farlo sia uno dei padri, mai pentiti, del movimento Pop appare
decisamente significativo.
Grande spazio è dedicato alle celebri riflessioni di
Lichtenstein sull'arte, con le sue versioni di molti dipinti famosi di altri autori e le pennellate che
fanno il verso all'Action Painting, poste subito all'inizio della mostra, sono
uno degli esempi più riusciti e particolari. Ma la mostra della Tate dà ampio
spazio anche agli Specchi e agli ultimi grandi nudi, in qualche modo un
sorridente testamento artistico che riassume tutta la carriera di Roy
Lichtenstein.
Per il visitatore che arriva dall'Italia, abituato a un uso sensibilmente
diverso della parola "retrospettiva", la mostra della Tate Modern può
fare l'effetto di un paradigma definitivo e raramente riscontrabile nel nostro Paese, almeno per quanto riguarda
la grande arte internazionale. Certo, la forza e il prestigio del museo
inglese, testimoniato da numeri come i 50 milioni di visitatori in 10 anni di
vita, sono tra i massimi al mondo, difficilmente eguagliabili in Italia, dove
non mancano tentativi coraggiosi, basti pensare a quanto fa la Triennale di Milano,
per citare solo un caso, ma dove talvolta si percepisce una certa diffidenza
verso il contemporaneo e un approccio all'arte in generale che risente ancora di considerazioni –
come la celebre frase "con la cultura non si mangia", la cui ultima attribuzione
certa è all'ex ministro Giulio Tremonti – che probabilmente non aiutano neppure
a poter pensare più in grande. La retrospettiva di Londra su Roy Lichtenstein è
un esempio cui, chi volesse provare a cambiare lo scenario anche nel nostro
Paese - a tanti livelli, compreso quello del sostegno economico a certi eventi
- può provare a fare riferimento. E fino a fine mese si potrà ancora ammirare a
due passi dal Millennium Bridge.
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