06 maggio 2013

Ricuperati, un romanzo e la vertigine del presente

Il presente, per definizione, è un concetto sfuggente e impalpabile, come una collezione di sabbia in una clessidra. E forse l’unico modo per coglierlo davvero in un romanzo – operazione che può fare sì che l’opera valichi l’invisibile e decisivo confine tra l’ordinario e il significativo – è adeguarsi alla stessa natura sfuggente, scegliendo di non dare riferimenti, ma puntando dritto all’essenza di alcune situazioni. In Italia lo hanno fatto, per esempio, Occidente per principianti di Nicola Lagioia e gran parte dei romanzi di un maestro come Walter Siti. Adesso lo fa anche La produzione di Meraviglia, secondo romanzo di Gianluigi Ricuperati, uno scrittore che sembra stare ai margini di quella cosa – piuttosto stantia, se ci è concesso – che è la cosiddetta società letteraria, ma che riesce a cogliere, fulmineo e spesso visionario, i concetti chiave del nostro tempo, entrando a gamba tesa su argomenti, che siano il denaro o le chat per lesbiche, che normalmente non trovano adeguata cittadinanza nella grande letteratura della patria del Manzoni.

Attraverso la storia di Remì, campione di poker muto e pilota d’aereo, e di Ione, ragazza inquieta con un padre che da ingombrante diventa addirittura galeotto, Ricuperati riesce a tessere un racconto che è contemporaneamente lieve – e quindi, come si diceva prima, decisamente sfuggente – ma che è anche denso, avvolgente come il gioco che instaura con il lettore, perso in una serie di situazioni e immagini che, per l’appunto, hanno spesso la qualità di produrre meraviglia. Immagini e gioco sono due parole chiave per capire il romanzo. La prima, lapalissianamente, perché a tre quarti del libro compare una sezione illustrata, dove il grafico Marco Cendron ha creato, in una vertigine di rimandi metaletterari, le carte da gioco modificate ad arte che il protagonista della storia usa per comunicare i suoi messaggi, tanto criptici quanto profondi. La seconda parola, gioco, è fondamentale e, come tutto il libro, si muove attraverso molteplici possibili livelli di interpretazione: da quello che nasce dal fatto che, in fondo, per quanto riguarda la trama il romanzo di Ricuperati non fa che ripeterci che “è successo qualcosa” (senza quasi mai dirci davvero cosa), fino alla dimensione esistenziale che il gioco del poker assume nella vita di Remì, considerazione questa che spalanca le porte alla filosofia (citare Wittgenstein è sempre molto cool, ma in questo caso quasi inevitabile) e a ragionamenti (“da quarta fila” direbbe Baricco) sul valore universale che assumono le parole una volta liberate dall’uso comune e bisunto, parole che diventano, da sole, vaste porzioni di realtà…



Parole che sono l’unica e imprescindibile sostanza della parte più importante del romanzo, la scena di un gioco, ovviamente, il mind game che va in scena tra Remì e Ione e che dimostra quanto sia profonda la capacità di lettura dei meccanismi sociali di Ricuperati e quanto riesca a renderli in un modo che potemmo arrivare a definire assoluto. Perché la scena del gioco, una dialogo via chat tra l’uomo e la donna che è un manifesto implicitamente esplosivo su cosa sono i rapporti interpersonali oggi, su come la tecnologia influisce sulla nostra vita, su come ogni volta non possa che essere la prima volta, tanto strutturalmente gli esseri umani sono, Kundera ci benedica, incapaci di qualcosa che non sia folle unicità. (Qui, davvero, siamo lontani dal panorama italiano, e i riferimenti che vengono in mente sono poderosi e anglofoni: la precisione feroce di un Franzen o di un Amis, la brutalità magnifica di un DeLillo). Nelle pagine del gioco, che sembrano pagine accessibili, conosciute (in realtà, direbbe Foster Wallace, la loro meraviglia è ben nascosta in piena vista), avviene invece uno dei miracoli della letteratura: la scomparsa del mondo, di tutto ciò che non siano quelle parole virtuali che si alternano algide su uno schermo. Parole che scatenano il primordio dell’umano, parole che sigillano la distruzione, ma anche la contemporanea ricostruzione, di ciò che per convenzione chiamiamo realtà.


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