DFW, La scopa del sistema e un’ultima festa
Una biografia appena uscita, un libro di interviste in arrivo, probabili celebrazioni negli Stati Uniti come in Europa. Il 12 settembre prossimo sarà il quinto anniversario della morte di David Foster Wallace, scrittore di prima grandezza e complessità forse ancora non del tutto compresa che in molti rimpiangono e intorno alla cui figura si è creata un'aura di santità laica che, molto probabilmente, nulla ha a che fare con l'uomo e l'artista che deve essere stato realmente (per quanto la parola "realtà" e i suoi derivati necessitino sempre delle proverbiali virgolette) DFW. Un ragazzone che per gran parte della sua vita ha combattuto con la malattia mentale e che, come ha raccontato brillantemente David Lipsky, dalle sue presentazioni, affollatissime anche di belle ragazze, in fondo sperava di ricavare "un po' di sesso" (e qui viene in mente un saggio di Roberto Bolaño nel quale il grande scrittore cileno - spesso accostato a Foster Wallace per il suo impatto sulla letteratura del XXI secolo - scriveva che anche Wittgenstein e Kafka, "volevano solo scopare"). Ma anche un giovane americano che ha saputo, con la sua intelligenza così acuta da non poter non essere dolorosa, dare una impronta nuova alla letteratura contemporanea con quel suo disperato tentativo, per usare le parole di Stefano Bartezzaghi "epico e sovrumano di dire tutto". Certo, gente come Herman Melville ci aveva già provato, e in Moby Dick ci ha lasciato una prova di un possibile successo della titanica impresa, ma raccontare in questo modo folle e onnivoro la società dell'informazione - e qui si inserisce Don DeLillo, e il suo strettissimo rapporto a distanza epistolare con Wallace che ha generato una sorta di affinità effusiva che è forse la cifra più profonda (nel senso della parola inglese inner) della migliore letteratura di oggi - è un'impresa che nella Nantucket di metà Ottocento nessuno avrebbe potuto nemmeno immaginare.
Proprio nella prefazione all'edizione Einaudi de La scopa del sistema, sempre Bartezzaghi pone quello che potrebbe essere il non-manifesto del quinto non-anniversario di DFW: "Forse la domanda preliminare - a proposito di quando saremo in grado di rileggere le opere di David Foster Wallace senza pensare al suo suicidio, quindi come se ci fossero arrivate da una fonte apocrifa - ammette solo risposte vaghe; forse gli unici che possono dire qualcosa di netto (reciso e preciso) sono coloro che a quella domanda si sentono di rispondere 'mai'". Non-manifesto da cui ci permettiamo di partire suggerendo di scartare la risposta "recisa" di cui sopra per provare, una volta di più, a correre sul filo teso sull'abisso di una lettura senza interpretazioni preconfezionate o indotte. Qui, adesso, ancora e solo David.
Leonardo Merlini
© Kilgore Magazine
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