"L'accuratezza è la sola moralità della letteratura" diceva il poeta Ezra Pound. Una frase che piaceva a Raymond Carver, lo scrittore americano che ha rinnovato la tradizione della short story novecentesca in maniera unica e di cui oggi si celebrano i trent'anni dalla morte, avvenuta il 2 agosto 1988, quando aveva solo 50 anni.
Ricordato come il padre del minimalismo, una corrente letteraria che proprio negli anni Ottanta ha vissuto il suo momento di grande celebrità, Carver in realtà era solo – si fa per dire – un grandissimo scrittore, a tutto tondo, ma gli interventi drastici e, per molti versi, geniali del suo editor Gordon Lish, hanno fatto di lui per anni il principale simbolo di una letteratura asciutta, che nella amputazione trovava la sua forza. Però, di amputazione si trattava comunque e, oggi che sono state pubblicate le versioni originali di molti dei racconti di Carver, siamo di fronte a un dato di fatto, ben sintetizzato da un altro mostro sacro della letteratura appena scomparso come Philip Roth: "Mai opera narrativa ebbe meno bisogno di revisioni". Punto.
Ma Lish, pur avendo inflitto allo scrittore dei dolori profondissimi, documentati nelle drammatiche lettere di Carver al suo editor, ha anche stabilito la fama di un autore che veniva da una vita difficile, ai margini, segnata dall'alcolismo, dalla miseria, da una paternità precoce e da molti momenti disperati. Sarebbe successo lo stesso senza quei tagli? Forse sì, ma la controprova non esiste. Esistono solo le diverse versioni dei racconti, esiste una prosa che, comunque, lascia il segno nei lettori e che ha costretto tutti gli autori venuti dopo di lui (e dal nostro punto di vista di lettori di Borges anche qualcuno di quelli venuti prima di lui) a fare i conti con l’universo narrativo, in senso completo, di Raymond Carver.
La letteratura era dentro di lui, è chiaro dalla maniera ossessiva con cui ha perseguito, nonostante tutto, la scrittura. Ma fuori c'era quel mondo complesso e spesso incomprensibile con il quale Carver faceva quotidianamente i conti. Da qui anche la scelta della misura del racconto breve: "La mia vita sembrava molto fragile – ha detto lo scrittore nella celebre intervista con Larry McCaffery – per cui volevo iniziare qualcosa che sentivo di poter ragionevolmente sperare di portare fino in fondo, il che significava che avevo bisogno di finire queste cose in fretta, in un periodo di tempo breve". Il che non voleva però dire in modo approssimativo, anzi, Carver rivedeva i testi in modo maniacale, andando alla disperata ricerca di quella accuratezza assoluta da cui siamo partiti. L'accuratezza era anche per Carver una forma di moralità. E i risultati sono in molti casi straordinari.
Soprattutto perché l’argomento è uno solo: un'America minore, potenzialmente esplosiva, perennemente relegata ai margini. Esattamente l’opposto del minimalismo chic newyorchese che si è voluto far procedere dalla lezione di Carver. Ma quella era solo una vulgata mediatica, i veri nomi che stanno intorno all'opera di Raymond sono quelli di John Cheever, antecedente, e Richard Ford, successivo. "Essenzialmente – ha detto Carver in un altro passaggio con McCaffery – io sono una di queste persone confuse e spaesate, vengo da gente così, quella è la gente accanto a cui ho lavorato e mi sono guadagnato da vivere per anni". Persone che un certo mondo – e ricordiamo che sono gli anni della presidenza Reagan – definirebbe perdenti, uomini e donne che si allontanano zoppicando dalla scena di un crimine spesso marginale. A salvarli, e qui forse sta tutto il senso di questo anniversario, c'è l'esattezza della loro enunciazione come personaggi letterari.
"Dopo quella mattina – leggiamo in uno dei brani che Gordon Lish ha tagliato dal racconto che Carver aveva intitolato Distanza e il suo edito ha cambiato in Gli si è appiccicato tutto addosso nel quale si parla di una coppia uscita da un litigio – sarebbero arrivati i periodi difficili che li attendevano, altre donne per lui e un altro uomo per lei, ma quella mattina, quella mattina lì avevano ballato". Non c’è minimalismo, non c’è una qualche teoria. C'è il senso di una vita comune, che solo la grande letteratura riesce a restituirci esattamente nel modo in cui ciascuno di noi, a modo suo, la vive e, soprattutto, la sente.
Nessun commento:
Posta un commento