Devo alla mia carissima amica Maria Adele la scoperta di Jonathan Safran Foer. O meglio, chi fosse e cosa avesse scritto mi era ben noto, ma è grazie a lei che ho deciso di leggerlo. E grazie a lei sono rimasto folgorato dalla bellezza quasi insostenibile di “Molto forte, incredibilmente vicino”. Confesso di essere un vero neofita di Safran, finora ho letto solo 120 pagine del suo secondo romanzo, ma sono state sufficienti per convincere Kilgore di essere di fronte a uno scrittore di immenso talento.
Al centro del romanzo c’è un bambino (“ragazzino” dice lui almeno in un’occasione) geniale e problematico, alle prese con la morte del padre e la scoperta di una vita che è fatta di lettere a Stephen Hawking ma anche di segreti dolorosi. Ma quello che più colpisce dell’intraprendente Oskar Schell è il suo essere un personaggio universale. Le sue stranezze sono le nostre, il suo peregrinare per le vie di New York siamo noi che camminiamo in tutti i posti del mondo, il suo affetto per la nonna è l’essenza di ciò che – in fondo alla nostra natia ingenuità – dà un vero senso all’esistenza. Oskar ha sette anni, fa cose strane, vive di manie. Eppure è stupefacente come Safran ci faccia capire che in fondo lì c’è già tutto e che se non sentiamo il bisogno di essere Oskar finiremo per impazzire. E proprio nell’essere pazzi come lui si può trovare un barlume di senso nelle cose che accadono intorno a noi.
Safran Foer scrive magnificamente e, per quanto straordinarie siano le storie che ci racconta, alla fine è la sua scrittura a catturare, è la sua cadenza a farci desiderare di leggere non tanto per scoprire cosa succede, ma per vedere come lui lo racconta. E la cosa che più colpisce è capire che Safran, pagina dopo pagina, frase perfetta dopo frase perfetta, sta parlando esattamente di noi.
Come tutta la grande letteratura - e di questo Kilgore è radicalmente convinto – anche Safran ci restituisce una fotografia della vita che è molto molto molto più reale di quello che ciascuno di noi sperimenta ogni giorno. Senza paragoni. Questo pensiero ogni volta mi colpisce in profondità e mi convince che il tempo che dedichiamo ai libri – e alla loro folle malia – non è sottratto alla “vita”, ma è vita a un altro livello, che in certi fortunati casi, come quello di Jonathan Safran Foer, si rivela essere anche un alto livello. Grazie Mimì per i tuoi preziosi consigli, ti devo un favore.
1 commento:
Siamo pari. A te devo Chabon, Eugenides, Eggers e un'attenta rivalutazione di Hemingway. Bellissima recensione, grazie!
:) M.Ad
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