Un romanzo leggero, divertente, acuto e a volte molto pungente che si chiude, proprio nell’ultima riga, con un colpo di scena davvero inatteso. “La sovrana lettrice”, ultima fatica letteraria di Alan Bennett, esce in Italia da Adelphi e si candida a ripetere il successo di libri come “Nudi e crudi” e “La cerimonia del massaggio”, che hanno fatto conoscere lo scrittore e commediografo inglese nel nostro Paese. La trama del romanzo, che a volte fa pensare all’ultimo Calvino e altre alle storie migliori della Walt Disney, è semplice: entrando per caso in una biblioteca circolante, la regina Elisabetta scopre la lettura e fa la conoscenza con uno sguattero, Norman, che diventerà il suo consulente letterario privato. La passione per i libri diventa presto impellente e la regina, che ammette di avere perso tempo, cerca di recuperarlo leggendo il più possibile nel crescente fastidio del suo entourage per la nuova inclinazione culturale della sovrana. Tra episodi buffi, in cui non fanno mai una grande figura il nervoso principe consorte (esilarante) e il primo ministro (un po' sinistro), e divagazioni molto acute sul senso della letteratura, il romanzo di Bennett avvince il lettore e regala piccole perle come il riassunto implacabile e ingenuo della vita e dell’opera di Proust: “Poveretto – dice la regina – una vita infame. Un martire dell’asma. Il tipo di persona a cui viene da dire: ‘Insomma, tirati un po’ su!’. Ma la letteratura è piena di gente così. La cosa strana è che quando ha intinto un pezzo di dolce nel tè (pessima abitudine) gli è tornato in mente tutto il suo passato”.
Ironica indagine nei corridoi della monarchia, dove valletti e collaboratori più realisti della regina non concepiscono l’umanità della sovrana e decrepiti consiglieri si addormentano nel bel mezzo di un colloquio regale, il romanzo di Bennett è anche una difesa della letteratura fatta con quella leggerezza teorizzata proprio da Italo Calvino. “I libri non sono un passatempo – esclama a un certo punto la regina – Parlano di altre vite, di altri mondi. Altro che far passare il tempo, non so cosa darei per averne di più”. E, poco più avanti, un’altra considerazione di Elisabetta lettrice, questa volta riferita alla propria specialissima posizione sociale: “L’attrattiva della letteratura, rifletté, consisteva nella sua indifferenza, nella sua totale mancanza di deferenza. I libri se ne infischiavano di chi li leggeva: se nessuno li apriva, loro stavano bene lo stesso”.
Come già aveva fatto Umberto Eco ne “Il pendolo di Foucault”, anche Bennett mette in bocca alla sua regale protagonista espressioni come “Sono l’unica a voler dare una bella lavata di capo a Henry James?”. E poi apre scorci di affettuosa luce sulla personalità della sovrana, aiutata dai libri a capire se stessa: “Anche se Shakespeare non lo capisco sempre, quando Cordelia dice ‘non riesco a trarre il cuore in bocca’ condivido appieno il suo sentimento. Il suo problema è il mio”. Alla fine, dopo che “con sua leggera sorpresa, quell’anno la regina compì ottant’anni”, Elisabetta decide di saltare il fossato e da semplice lettrice (il titolo originale del romanzo è “The Uncommon Reader”, con ovvio riferimento al “The Common Reader” di Virginia Woolf) diventare lei stessa scrittrice. Ma per farlo avrà bisogno di fare un altro, considerevole strappo.
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