La machina del tempo esiste, e ogni giorno centinaia di persone se ne servono. Si tratta del treno Guravaya Express delle Indian Railways, in servizio tra Chennai e l’estremo sud del subcontinente indiano. Un convoglio ben tenuto, anche se dall’apparenza un po’ vecchiotta, che mi porta da Trichy a Madurai – circa 161 km in tre ore e mezza – ma al tempo stesso mi proietta in quello che, se saremo fortunati, sarà il nostro mondo nei prossimi trent’anni, quando l’India sarà serenamente diventata la prima potenza mondiale. Madurai è la città futuro, la dimostrazione tangibile di tutto quello che si legge su libri e riviste che ci raccontano del boom asiatico, la percezione di come la storia, con i suoi cicli e la sua inesorabile processione, si manifesti in maniera semplice ed inequivocabile. Per le strade della città, un’aspirante metropoli che conta – secondo la Lonely Planet edizione 2005 – 1.190.000 abitanti, si percepisce tutto il caos vitalistico dell’India: un crogiuolo di smog, auto, motorisciò, mucche, capre, cani, venditori ambulanti, ciclisti, motocarri e quant’altro che mi fanno capire realmente che il dominio occidentale è stata solo una breve parentesi nella storia del mondo e che la forza, la dinamicità, lo sviluppo – il futuro insomma – passano dall’Asia e non più dalle nostre parti. E in particolare in questa Asia dinamica, in questo motore del mondo che fa riferimento alla Cindia di Sisci e Rampini, il vitalismo sorridente di Madurai mi fa chiaramente capire che il modello indiano, fatto di caotica democrazia, boom demografico e profonde radici spirituali, è destinato a prevalere su quello cinese, perché se anche la storia non è finita nel 1989, Fukuyama ha descritto una legge vera sullo sviluppo dell’umanità: la libertà, con tutte le sue imperfezioni e incompletezze, alla fine prevale sul dispotismo. E l’autoritarismo cinese, per quanto sul breve periodo possa pagare, alla distanza non potrà che soccombere di fronte alla sfida indiana, sostenuta dalle non poche implicazioni positive della globalizzazione. E tutto il mondo, tra qualche anno, probabilmente assomiglierà un po’ di più a Madurai. Non dobbiamo averne paura, anzi. E’ probabile che la salvezza del nostro sistema di vita e dei nostri diritti passi proprio dall’affermazione del modello indiano, oasi di democrazia (per quanto naturalmente complessa e problematica) in uno scacchiere mondiale segnato dal fondamentalismo e dal ritorno delle grandi potenze autoritarie.
Il futuro che scopro a Madurai è invece profondamente intriso di una libertà che sfiora l’anarchia, come nel caso del folle traffico che impazza nelle città indiane. Impossibile da capire per il viaggiatore occidentale, che se è saggio lo accetta per come è, ma al tempo stesso straordinariamente efficace e sorretto, pur nel delirio con cui si manifesta, da regole di collaborazione e solidarietà tra i soggetti in strada, che non lasciano mai il piede dall’acceleratore ma segnalano quando si può superare, annunciano a colpi di clacson ogni nuova iniziativa e praticamente mai litigano con gli altri autisti. Insomma, non si capisce come faccia, ma funziona. E funziona nello stesso modo il modello indiano, capace di offrire un’alternativa più serena a noi e ai nostri supposti nemici, capace di coniugare la tradizione più antica e spirituale alla ricerca scientifica e al progresso, capace di offrire processioni religiose a ogni ora e nel frattempo produrre, crescere, migliorarsi per competere (quanti anni luce è distante l’Italia?) sulla scena globale.
Nel cuore di Madurai c’è uno dei templi più famosi dell’India lo Sri Meenakshi, dove ogni giorno – sempre secondo la Lonely Planet – si recano in pellegrinaggio 10mila fedeli. Quando per la prima volta lo vedo dal tetto del mio albergo mi rendo conto di essere in pieno Blade Runner: le dodici torri a tronco di piramide (i gopuram) che ne segnano gli accessi sono fantascienza pura, ma una fantascienza costruita su basi millenarie, che conta su milioni e milioni di giovani vogliosi di emergere e che al tempo stesso mi permette di trovare un pappagallo verde ubriaco che mi legge il futuro nei ritagli di giornale. Santo cielo, è ora di lasciare le nostre poltrone europee che cominciano a emanare un odore stantio e provare a guardare nel caleidoscopio del mondo di domani e a pensare che la fantascienza classica ci ha sempre parlato in fondo del presente, collocandolo più in là nel tempo perché trovassimo la forza di valutarlo con più serenità. Se questa Madurai, se questa India che ancora si dibatte tra mille difficoltà ma che guarda decisamente verso un punto che è al di là delle nostre spalle saprà mantenere la promessa di futuro che ho intravisto dopo essere sceso dalla lenta carrozza del Guravaya Express, forse il mondo continuerà a essere un posto in cui è interessante vivere.
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