19 marzo 2010

Jonathan Safran Foer: io sto con gli animali

Dopo il successo mondiale di due romanzi come Ogni cosa è illuminata e Molto forte incredibilmente vicino Jonathan Safran Foer, 33enne star della letteratura americana, torna nelle librerie italiane con Se niente importa (Guanda), un saggio che risponde, anche con toni molto duri, alla domanda sul perché mangiamo gli animali. “Abbiamo intrapreso una guerra – scrive Safran Foer – o meglio abbiamo permesso che si intraprendesse una guerra contro tutti gli animali che mangiamo. Questa guerra è nuova e ha un nome: allevamento industriale”. Vegetariano a singhiozzo per molti anni, come racconta lui stesso, lo scrittore si è posto seriamente di fronte al problema del consumo di carne dopo la nascita dei suoi figli e, come ha spiegato a Kilgore nel corso di un incontro a Milano, si è concentrato “sulla differenza tra le cose che ci raccontano a proposito del cibo e la realtà”. Quello che colpisce, nel libro di Safran Foer, è l’assenza di posizioni ideologiche, spesso ricorrenti in libri che trattano per esempio l’argomento del vegetarianesimo, che alla fine risulta essere una scelta dettata dalla presa di coscienza delle pratiche terribili cui gli animali vengono sottoposti nel 99% degli allevamenti e dal costo ambientale elevatissimo correlato al sistema di produzione del cibo.

“La letteratura – ci ha detto Safran Foer – è utile per ricordarci le cose che, presi dalle circostanze della vita, spesso finiamo con il dimenticare. Il punto è che ci può incoraggiare ad agire meglio e ci può anche aiutare a sentire più profondamente le cose”. Ma, e su questo lo scrittore è categorico, Se niente importa non è un’opera d’arte (“L’arte dovrebbe essere solo fine a se stessa”), ma il resoconto di un’indagine lunga tre anni che vorrebbe sollevare il velo che nasconde gli orrori e le sofferenze che gli animali destinati a diventare cibo per le nostre tavole subiscono quotidianamente, e su vastissima scala. Sofferenze che, spiega Safran Foer, forse possiamo capire solo se le inseriamo in una storia che parla di noi. E quindi, chiediamo, la letteratura può in qualche modo salvare noi e gli animali? “Un libro non salva le vite – ha risposto lo scrittore – ma può contribuire a vasti cambiamenti culturali. Io credo che i libri possano cambiare i lettori, e spero che qualcuno leggendo il mio saggio possa cambiare idea sulla carne. Ma comunque non è questo il motivo per cui ho cominciato a scriverlo”.

Una delle parole ricorrenti nelle pagine di Safran Foer è vergogna (definita “il lavoro della memoria contro la dimenticanza”): “La vergogna – ci ha detto – è molto utile, e spesso ti impedisce di fare cose che non dovresti, ci aiuta a essere migliori. Alle volte avremmo davvero bisogno di vergognarci di più”. Dallo sterminio degli animali allo stermino degli esseri umani a volte il passo può sembrare breve e non sono mancati parallelismi con la Shoah, ma Jonathan Safran Foer non ama questo paragone: “Non ho problemi con chi lo vuole fare, ma non è appropriato: qui si parla di animali da allevamento e non di uomini. Non dobbiamo considerarli come esseri umani, ma semplicemente come animali”. Con il rispetto che si deve agli esseri viventi e senza dimenticare che il problema riguarda tutti noi, dato che gli allevamenti di animali contribuiscono al riscaldamento globale più di tutti i trasporti del mondo messi insieme.

Un’ultima notazione sul titolo italiano (in originale è Eating Animals): il riferimento è alla nonna dello scrittore che, anche nella fame più nera durante la guerra in Ucraina non mangiò la carne di maiale donatale da un contadino russo, perché non era kosher, neppure per salvarsi la vita. “Se niente importa – spiegò la donna al nipote – non c’è niente da salvare”.

1 commento:

Unknown ha detto...

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