Roberto Bolaño continua a vivere, almeno per quanto riguarda la pubblicazione delle sue opere. In attesa di due inediti annunciati anche in Italia per i prossimi mesi ecco che Adelphi ripubblica Amuleto, romanzo falso-giallo del 1999, nella nuova versione della valente ispanista Ilide Carmignani. Una storia oscura, segreta probabilmente è il termine più calzante, raccontata in prima persona da Auxilio Lacouture, la “madre di tutti i giovani poeti messicani”, che visse il proprio momento di celebrità allorché resto chiusa – sostanzialmente immobile – in un gabinetto dell’università di Città del Messico mentre i militari facevano irruzione nell’ateneo durante i moti del Sessantotto. Quell’esperienza, che Bolaño racconta con l’usuale visionarietà lucida e folle al tempo stesso, lasciò un segno indelebile sulla giovane donna, che da quel momento porta con sé la propria solitaria resistenza proprio come un amuleto. L’orrore di fondo, quello che lo scrittore cileno è un maestro nel lasciare in secondo piano, quasi fosse un rumore bianco percepibile solo con una particolare strumentazione, è proprio quello della violenza politica che si abbattè su un’intera generazione di giovani latinoamericani. Ma, come in tutte le migliori pagine di Bolaño, il fascino del libro sta nell’incredibile maestria con cui lo scrittore sembra parlare di altro, lasciando solo delle tracce, che il lettore può scegliere di seguire come di non considerare, certo che ogni strada intrapresa sarà al tempo stesso perfetta e clamorosamente sbagliata. Borges, insomma, non è passato invano.
Dei possibili sentieri che si biforcano che si pongono davanti al lettore, uno porta dritto a un tesoro per gli appassionati di Bolaño: nelle pagine di Amuleto, infatti, convergono i personaggi più famosi inventati dal cileno, su tutti il suo alter ego Arturo Belano, indimenticabile protagonista insieme a Ulises Lima del capolavoro I detective selvaggi. Romanzo questo in cui compare anche la storia di Auxilio, e qui già si spande un leggero senso di vertigine. Ma siamo solo all’inizio: a pagina 72 dell’edizione Adelphi, infatti, si trova inattesa la probabile risposta a una delle domande che più hanno assillato i lettori che hanno amato 2666, il monumentale romanzo postumo di Bolaño – anche qui si deve spendere la parola capolavoro, non è ridondante: è inevitabile – sul cui titolo tutti noi ci siamo interrogati. Lungo le oltre mille pagine del libro la misteriosa cifra non appare mai. La troviamo però in Amuleto: “La Guerrero – scrive Bolaño a proposito di una strada malfamata di Città del Messico – a quell’ora sembra più che altro un cimitero, ma non un cimitero del 1974, né un cimitero del 1968, né un cimitero del 1975, ma un cimitero del 2666, un cimitero dimenticato sotto una palpebra morta o mai nata, le acquosità spassionate di un occhio che per dimenticare qualcosa ha finito per dimenticare tutto”. Puro Bolaño, una frase che, da sola, vale il prezzo del biglietto.
La sensazione è che, in fondo, il cileno abbia sempre scritto un'unica grande storia, declinata per puri motivi editoriali in vari libri e raccolte di racconti, che però vivono come le necessarie appendici di un unico rizoma letterario, che si dipana e si biforca – un po’ come il tratto di penna che chiude Il barone rampante di Italo Calvino – fino a tracciare l’intera vicenda di uno scrittore manifesto o segreto, ma senza dubbio scomparso troppo presto. Un’ultima notazione: in questo gioco di coincidenze e incroci che porta il lettore a lambire i confini infernali del nostro mondo spicca un’altra cifra: Amuleto è il volume 222 della collana Fabula di Adelphi. Moltiplicandolo per tre, ossia il numero di opere di Bolaño finora pubblicate dalla casa editrice di Calasso, si ottiene un risultato assai inquietante. E’ solo un gioco, ma chissà che nel 2666 qualcuno non possa scoprirci un qualche altro tipo di interpolazione.
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