03 giugno 2010

Maradona, l'ultima (folle) star del calcio umanista

Ci sono Messi, Cristiano Ronaldo, Milito, Drogba ed Eto’o, ma forse l’ultima vera star (umana) dei Mondiali di calcio che stanno per cominciare in Sudafrica è ancora lui, l’indomito e indomabile Diego Maradona. Alla guida di un’Argentina che sulla carta ha tutto per vincere la Coppa del mondo, salvo forse proprio l’imprevedibilità del suo allenatore. Per l’occasione Fandango ripropone nei tascabili la straordinaria autobiografia del Pibe de Oro Io sono El Diego, un libro picaresco e irrefrenabile che, con apparente umiltà, non fa altro che aggiungere nuova linfa a mito di un campione assoluto. Un po’ la stessa operazione fatta dal film Maradona di Emir Kusturica (lui che canta La mano de Dios, INDIMENTICABILE), solo che questa volta Diego parla in prima persona. Ai tempi dei giocatori-cyborg e del calcio iper professionalizzato, rileggere la storia del bambino povero diventato una star mondiale nonostante se stesso è un’esperienza tra il liberatorio e il nostalgico.

La personalità di Maradona è straripante fin dalle dediche del libro: un elenco di persone lungo due pagine, dalle figlie fino a Dio (altrove chiamato “il barbuto”), passando per “tutti i calciatori del mondo”, Fidel Castro, Caniggia, Ciro Ferrara e Michael Jordan, senza dimenticare “gli avvocati che hanno tirato fuori il mio amico dal carcere”. Già qui siamo in dadaismo puro, ma le pagine successive non sono da meno. Maradona racconta con candore del regalo più bello di tutta la sua vita, il primo pallone: “Io avevo tre anni e dormii tutta la notte abbracciandolo”. Del piccolo Diego è rimasto nell’immaginario collettivo quel sogno registrato dalla tv: giocare un Mondiale e vincerlo con l’Argentina. Rivedendo le immagini oggi è impossibile non pensare a parole come “destino”, ma in realtà è lo stesso Maradona a spiegare che “era lo stesso sogno di tutti i ragazzini, uguale a tutti gli altri”. Di diverso c’è che Diego ce l’ha fatta, ma anche qui il percorso non è stato né semplice né lineare. Nel 1978 resta fuori dalla Seleccion che poi vincerà la Coppa sotto lo sguardo ghiacciato dei militari, nell’1982 ha la grande occasione, è la star del torneo, ma anche questa volta, complice l’Italia di Bearzot e Gentile, le cose andranno male. “Quel che è sicuro – scrive Maradona – è che fui io a perderci più di tutti: nessuno stava rischiando quanto me, nessuno più di me aveva voglia che le cose andassero bene”.

Diego, pur nel suo sconfinato ego, nel libro mantiene una prospettiva di costante stupore, come se non si aspettasse mai di essere apprezzato. Quando il commissario tecnico Bilardo gli chiede di diventare capitano dell’Argentina piange di gioia, quando finalmente alza la sua Coppa del mondo nel 1986 non la lascia a nessun altro: “Volevo essere sicuro che fosse vera, che fosse nostra, degli argentini”. Gli anni di Barcellona sono turbolenti e contraddistinti dalla costante tensione con il presidente Nuñez, culminata in una incredibile protesta con lancio di trofei nella sede del club catalano. Poi è il Napoli, e la guerra di Diego, campione dei poveri e dei “terroni” contro il potere delle squadre del Nord. La storia è nota, compreso il triste epilogo. E come ogni epopea che si rispetti, anche quella di Maradona si fa a un certo punto cupa, e Diego incontra la camorra. “Riconosco – scrive – che era qualcosa di intrigante quel mondo, lo riconosco. Per gli argentini era una novità: la mafia!, e come sarà la mafia!? C’era qualcosa di affascinante in questo”. Il lato oscuro è sempre pronto a ghermire l’eroe, e Maradona in quella zona grigia ha camminato a lungo.

Un’ultima nota sul presente. Ai Mondiali Maradona ha tutto da perdere e in molti probabilmente lo stanno aspettando al varco. Ma se vincesse, anche alla Fifa, dove non lo hanno mai amato, non potrebbero non accorgersi che sarebbe il miglior modo di rinverdire la leggenda senza tempo del pallone. Un gioco il cui più grande interprete di tutti i tempi era uno, come scrive lo stesso Maradona, che si allenava tutti i giorni in garage. Una via di mezzo tra Don Chisciotte e Sancio Panza, ovviamente pazzo, che si batte contro i mulini a vento di quello che identifica come il Potere. Fantastico

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