Roberto Bolaño, forse più di qualunque altro narratore contemporaneo, è riuscito a costruire dei mondi letterari in grado di irretire il lettore con forza irresistibile, trascinandolo in un'esperienza quasi sempre memorabile. La sua morte prematura, nel 2003 mentre attendeva un trapianto al fegato, resta una delle grandi perdite per la letteratura, non solo di lingua spagnola. La fama Bolaño l'ha conosciuta per breve tempo, ma da postumo il cileno è diventato un vero e proprio fenomeno, capace di conquistare migliaia di lettori in tutto il mondo. E così questo 2012 in libreria si apre con un nuovo - se così si può dire - postumo di Bolaño, I dispiaceri del vero poliziotto, che Adelphi pubblica dopo il clamoroso 2666 e i ritrovati Amuleto e Il Terzo Reich. "E' un curiosissimo libro - ha detto Matteo Codignola di Adelphi (che in qualche modo all'ottimo Roberto somiglia pure un poco) a Kilgore - perché è in un certo senso quello che tutti vorremmo fare quando vediamo un film o leggiamo un libro che ci piace, ossia sapere che cosa è successo ai personaggi dopo quel frammento che abbiamo avuto modo di vedere, leggere o ascoltare. E Bolaño ha fatto proprio questo, in una specie di compulsione perché non riusciva probabilmente a separarsi dai suoi personaggi. Chi ha amato Amalfitano,e tutti gli altri, qui li ritrova tutti, da piccoli, da grandi, in altre storie, in altre vite, in altre situazioni. Ed è un grandissimo godimento letterario e metaletterario al tempo stesso".
La storia dei "Dispiaceri", curato anche questa volta da Ilide Carmignani, ruota dunque intorno a personaggi già noti ai lettori di Bolaño, ma anche all'ennesimo poeta irregolare, Padilla, riedizione omosessuale degli indimenticabili Belano e Lima de I detective selvaggi, l'unico grande romanzo di Bolaño pubblicato in vita. Ora siamo di fronte a un'opera incompiuta, ma che brilla dell'energia febbrile tipica delle pagine più famose del gran cileno, nonché di una struttura circolare - in un senso che sarebbe piaciuto a Borges - fatta di continui rimandi alle altre opere dello scrittore, in un viluppo che è parte integrante del fascino di ogni pagina di Bolaño. Come se ci trovassimo di fronte a un eterno ritorno, ma giustamente non è chiaro a che cosa si torni, forse alle suggestioni di quel motto di Democrito amato e ripreso dal fondatore della contemporaneità, Samuel Beckett: "Niente è più reale del niente". E niente, aggiungiamo, è più importante.
Una notizia molto importante per i lettori di Bolaño, poi, è che Adelphi ha annunciato la ripubblicazione della sua opera omnia. "Bolaño in questi anni - ha aggiunto Codignola - è diventato una delle pochissime stelle polari dei lettori e anche degli scrittori del nostro tempo, e quindi pensiamo che la riproposta della sua opera ed eventualmente di cose che ancora non sono uscite, insieme a 2666 aiuti a capire che cosa questo scrittore è stato, ma ancora è, perché è un autore del quale è abbastanza complicato parlare al passato, perché è come se fosse qui". Leggere Bolaño, dunque, per provare a dare un senso, una cartografia, forse anomala ma indubbiamente universale, al nostro tempo. "In una situazione caotica - ha concluso Codignola - come quella in cui siamo, Bolaño, insieme a Foster Wallace, a Murakami e per certi versi anche a Stieg Larsson, ha scritto libri che sono un po' il segno di questi anni. Poi, che cosa sono e perché lo sono diventati è un discorso che ci porterebbe lontano". Ma forse è proprio lì che questi libri riescono davvero a condurci.
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