“Mi
piacerebbe essere uno scrittore fantastico, come Philip K. Dick, anche se man
mano che il tempo passa e invecchio, Dick mi sembra sempre più realista”.
Diceva così Roberto Bolaño, in un’intervista a Carmen Boullosa del 2002, e,
forse sapendolo, forse solo intuendolo, in fondo tracciava un ritratto
estremamente veritiero tanto di ciò che Dick ha rappresentato nel nostro
immaginario collettivo, quanto di quello che stava per rappresentare lui, icona
reticente (ma non troppo) di una letteratura capace di farsi fenomeno senza
rinunciare alla propria enorme tensione verso qualcosa di diverso. Oggi, a 10
anni dalla scomparsa dello scrittore cileno, la sua fama si consolida e si
amplia, restituendoci la potente ironia della storia – mai sottovalutarla! –
che ha fatto di un poeta convertitosi al romanzo dopo essersi scoperto malato
per “fare soldi” per la propria famiglia, uno dei maggiori interpreti della
letteratura globale contemporanea. Perché il fenomeno Bolaño è esploso sul
serio fuori dall’ambito linguistico spagnolo ed è stato consacrato, cosa
estremamente rara, proprio negli Stati Uniti, tendenzialmente (e anche con
molte ragioni, sia chiaro) autoreferenziali e diffidenti verso scrittori di
lingua non inglese (Borges e Calvino sono forse gli altri esempi più
importanti, giusto per capire di cosa si sta parlando).
Un decennio dopo quel triste mese luglio del 2003 nel quale Bolaño si è spento a soli 50 anni mentre attendeva un trapianto di fegato mai arrivato, uno dei possibili modi per ricordare lo scrittore è quello di farlo attraverso l’unica cosa che conta veramente in quel mestiere, ossia le opere. In particolare attraverso i suoi personaggi, sospesi tra una inestricabile proiezione della sua personalità e del suo mondo e il genio letterario che li ha resi in molti casi indimenticabili in quanto “artefatti” culturali. Partiamo dal più noto alterego di Bolaño, ossia quell’Arturo Belano che, insieme all’inarrivabile Ulises Lima (imago letteraria del poeta Mario Santiago Papasquiaro), è protagonista de I detective selvaggi (sempre che questa parola mantenga un suo senso all’interno di un uber-romanzo che ha più o meno fatto allegramente a pezzi l’idea di narrazione tradizionale, per di più con una falsa veste “gialla” che rende il tutto ancora più straniante e meraviglioso). Belano e Lima che scappano con una prostituta inseguita dal suo magnaccia e nel deserto di Sonora vanno in cerca di una poetessa segreta, Belano che diventa custode di un campeggio nel Sud della Francia, Lima che si perde durante un viaggio per scrittori in Nicaragua, e insieme, questi poeti realvisceralisti e spacciatori, che forgiano un modo di essere unico sulla scena della letteratura del presente (e ha ragione Nicola Lagioia quando scrive che Bolaño, benché abbia vissuto solo poco più di tre anni del XXI secolo, è il primo scrittore del terzo millennio, perché i suoi libri e i suoi personaggi nascono già nel futuro, un po’ come accadeva con l’altrettanto compianto Dick…)
Lontano,
lontanissimo dall’autobiografia, ecco lo scrittore fantasma Benno von
Arcimboldi, la primula rossa dell’enigmatico e monumentale (e imprescindibile) 2666, la seconda opera-mondo, per dirla
con Franco Moretti, di cui Bolaño non ha mai visto la pubblicazione. Un
labirinto in cinque parti che ruota intorno alla ricerca, quasi degna delle
storie medievali sul Santo Graal, di questo scrittore scomparso, in una trama
delirante fatta di letteratura, omicidi, orrore, meraviglia, mistero… Intorno
alla luce oscura che Arcimboldi, o chi per lui, emana, si muovono altri
personaggi memorabili, come il giovane poliziotto Lalo Cura (leggetelo pure
come La Locura, ossia la pazzia) o il
professor Amalfitano, i critici che decidono di mollare l’Europa per fare una
salto nel buio nella terra dei femminicidi o Oscar Fate, il giornalista
afroamericano che, pure lui, in Messico finisce giustamente (il Fato, non a caso) per perdersi e
scomparire, in un modo che potremmo definire dolce, ma come può esserlo un liquore
molto zuccherato, sebbene tremendamente alcolico.
E ancora
quell’altra personificazione del male che è Carlos Wieder, il poeta-aviatore-killer
seriale di Stella distante, o gli
incredibili scrittori immaginari de La
letteratura nazista in America, come la dinastia dei Mendiluce (la cui
epopea tragica e marginale è degna di una famiglia reale decaduta ed esiliata)
o quel Willy Schurhoz, che nelle sue opere stranianti tracciava nel deserto
delle mappe esatte dei campi di concentramento di Hitler. E poi le donne, che
pure loro in un certo modo sono (e
ovviamente al tempo stesso non sono)
Bolaño, come Auxilio Lacoutre, la protagonista di Amuleto, che vive la violenta irruzione della polizia
nell’università di Città del Messico del 1968 nascosta in un gabinetto. E per
questo si salva, e per questo vivrà un complesso di colpa che la porterà a
diventare protettrice di poeti di sinistra (e forse il senso di colpa – e di
sollievo, il che rende ancora più acuto il primo – di Auxilio è paragonabile a
quello di Bolaño, che ha sì vissuto sulla propria pelle il golpe di Pinochet,
ma dal cui incubo si è, almeno nella pratica, liberato dopo pochi giorni per
strane e fortunate circostanze che gli hanno risparmiato gli orrori toccati a
tanti suoi amici militanti). Ancora: le sorelle Maria e Angelica Font, le
poetesse adolescenti dei Detective,
che poi forse si trovano anche in Stella
distante sotto il nome di sorelle Garmendia, vittime dei crimini
inenarrabili di Wieder. E sempre nei Detective
ecco la prostituta innamorata, Lupe, che fugge con Belano e Lima e intreccia
una relazione sorprendentemente felice, nell’assurdità della situazione e nella
breve durata, con Juan Garcia Madero, la più cospicua delle innumerevoli voci
narranti di quel romanzo monumentale.
Il catalogo,
ovviamente, non è questo, o madamina. Al massimo è una sua proiezione lacunosa,
un’idea da caverna di Platone, nel quale abbiamo solo definito il contorno di
quelle strane ombre che vediamo sul muro. Perché, se non bastasse, i personaggi
di Bolaño si scambiano anche di libro, tornano, tramano, intrecciano le loro
vicende tra un romanzo e l’altro, segretamente, con una grazia folle e
rizomatica che lo scrittore cileno padroneggiava con una sicurezza che in parte
possiamo attribuire anche alla sua inconsapevolezza. Ma sulla pagina ogni cosa
risplende al punto giusto e questi segreti chissà che non siano l’ultimo
tentativo dello scrittore di non morire mai. In qualche modo è possibile che
Roberto Bolaño continui a farcela, anche 10 anni dopo.
Leonardo Merlini
© Kilgore Magazine
Nessun commento:
Posta un commento