“La società occidentale non è barbara o più barbara di altre ma oggi è piena zeppa di ‘barbari’, di uomini e donne che fan parte di quella vastissima e cupa compagnia cantante la superiorità della nostra cultura e del nostro modello di sviluppo, gente con la verità in tasca che crede seriamente e fermamente che il proprio punto di vista sia l’unico possibile, valido e accettabile e non è in grado di comprendere e nemmeno di concepire tutto ciò che è altro da sé”. Massimo Fini è straordinario. Giornalista, scrittore, polemista di lungo corso e ora anche attore, Fini non usa mezzi termini per esprimere le proprie convinzioni e anche in questo caso, parlando di “relativismo culturale”, attacca frontalmente la nostra società e i suoi epigoni in un dizionario filosofico che raccoglie una summa della sua visione del mondo. “Il ribelle”, questo il titolo della sua ultima fatica edita da Marsilio, è un saggio articolato per voci che rappresenta un fortissimo antidoto al “pensiero unico” ed è un volume con cui è salutare confrontarsi. Anche per chi, a differenza di chi scrive, non stravede per l’ottimo Massimo.
“In questo libro – spiega Fini nella prefazione – ho cercato di condensare il pensiero che sono venuto elaborando nei miei libri e in centinaia, forse migliaia, di articoli”. Un pensiero che, nonostante la forma di dizionario, si muove lungo linee giuda molto chiare: la critica dell’Illuminismo e del concetto di modernità; la sfiducia totale verso il sistema della democrazia occidentale; la strenua difesa del concetto di relativismo culturale, cui è dedicata la prima voce del suo dizionario, fuori dalla distribuzione alfabetica; l’ammirazione per i sistemi primitivi e per il “medioevo sostenibile” del mullah Omar; la critica, durissima, alla globalizzazione.
Isolato, eretico, “ribelle, in una certa misura, anche a se stesso”, Massimo Fini sostiene che “non esistono sistemi morali, né religiosi, né principi universali. [...] Anche il relativista ha le sue preferenze, ma è consapevole che sono semplicemente sue, non una verità oggettiva valida anche per altri, o addirittura per tutti”. E la responsabilità del singolo, in questa prospettiva, diventa addirittura titanica: crearsi una tavola di valori autonoma che lo rende “individualmente e totalmente responsabile dei propri atti e se ne assume tutte le responsabilità davanti alla comunità in cui vive, senza esitazioni, senza piagnucolamenti, senza autocommiserazioni e autogiustificazioni”.
Sfogliando il dizionario si incontrano spunti straordinari, che spaziano un po’ in tutti i campi del sapere. Prendendo qualche voce a caso possiamo citare “antropomorfismo” (“Che Dio, questo Essere perfettissimo, abbia creato l’uomo a su immagine e somiglianza è un’idea assai bizzarra e vagamente blasfema”) o “consenso” (“Pirrone, filosofo scettico, una volta che la folla lo applaudiva mormorò: Che abbia detto qualche sciocchezza?”). O ancora “ong” (“Sono più pericolose degli ogm”) o “Bush, George W.” (“Non è necessario vestire una scimmia, per vedere una scimmia vestita”). In tempi di omologazione televisiva – su standard pietosamente bassi – certe letture provocatorie sono una vera boccata d’aria fresca.
Il cuore del ricchissimo libro di Fini si trova probabilmente nella lettera “D”, dove confluiscono le voci “democrazia”, “destra/sinistra”, “dignità” e “donne”. A proposito del nostro sistema politico si può leggere: “La ‘democrazia reale’, quella che concretamente viviamo, è una parodia, una finzione, un imbroglio, una truffa. [...] Le democrazie sono quindi delle aristocrazie mascherate”. Per Fini “Destra e Sinistra non sono più in grado di comprendere una realtà che le ha scavalcate” anche perché – secondo lo scrittore – liberalismo e marxismo sono comunque due facce dello stesso “pensiero unico”. A proposito della dignità se ne piange la scomparsa, mentre sui diritti delle donne il buon Massimo, da estimatore del mullah Omar, va abbastanza controcorrente. Si può dissentire, e su quest’ultimo punto Kilgore lo fa, ma lo ribadiamo: Fini, come Stirner, è Unico.
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