25 luglio 2011

Il sorriso del Male

C'è qualcosa che non torna, che disturba profondamente, nella foto che ritrae il killer di Oslo, Anders B. Breivik, con una sorta di sorriso strafottente mentre, su un'auto della polizia, torna in carcere dopo il primo interrogatorio in tribunale. Forse ride perché è un folle, forse per spregio alle vittime del massacro... Ma forse ride perché, fuori dal finestrino, vede migliaia di norvegesi, quei pacati, civili, democratici norvegesi che lui odia e disprezza, simbolo di una mollezza progressista incapace di dare risposte ai problemi sociali più scottanti della contemporaneità, li vede folli di rabbia, schiumanti, che invocano al linciaggio dello stragista....

Ride, forse, perché vede che ha trionfato andando a strappare la violenza dal lato oscuro del cuore dei norvegesi e gettandola in piazza, davanti alle telecamere di tutto il mondo. Davanti a lui. Ride, come solo il Male sa ridere.

11 luglio 2011

McLuhan-Coupland, un'accoppiata davvero esplosiva

Difficile che una biografia di un grande sociologo (ma chissà se questa definizione ha anche solo una piccola dose di pertinenza...) possa essere uno dei libri per l'estate che sta già scoppiando in tutta Italia. Eppure Marshall McLuhan di Douglas Coupland, ennesimo bel colpo della casa editrice milanese Isbn, è un libro che ha tutte le caratteristiche per candidarsi a questo difficile ruolo, normalmente affidato - forse con un misto di snobismo e di pilatesca astuzia - ai grandi bestseller. In primis c'è il personaggio di cui si narra, il leggendario massmediologo (definizione brutta, ma questa volta più pertinente) canadese che, tanto per dirne due, coniò l'espressione "villaggio globale" e il mantra di tutto i futuri radical-geek: "Il medium è il messaggio". In secondo luogo c'è il narratore, Douglas Coupland, canadese pure lui, che è uno dei più grandi - e acuti, seppur sempre con un elemento di meravigliosa distonia - interpreti della contemporaneità. Non voglio citare il cult Generazione X e neppure il recentissimo e superbo Generazione A, mi basta ricordarlo per romanzi "minori" come Fidanzata in coma, fuori catalogo ma cercatelo nei mercati dell'usato, o libri indefinibili e commoventi come La vita dopo dio. Il risultato è un altro oggetto anomalo, un libro che ammicca alla grafica del Dos (qualcosa di perfetto nel modo in cui è perfetto lo Sfero di Parmenide o la voce di Hal9000 nella versione italiana di 2001 Odissea nello spazio) e gioca con passione la partita di ricordare al mondo il genio visionario di un fanatico cattolico con seri disturbi cerebrali e un'anomalia rarissima nell'afflusso di sangue alla testa che vide e descrisse la nostra società anni, se non lustri o decenni, prima di tutti gli altri.

L'occasione del libro - ed è bello pensare che un'occasione serva ancora, anche per una biografia così proteiforme - è il centenario della nascita di McLuhan, che cade il 21 luglio di quest'anno. Ma di lui, in sostanza, si continua a parlare da quasi 50 anni, come Coupland, in un lungo excursus nella vita pre-celebrità di McLuhan, mette in risalto sotto molti punti di vista, talvolta prevedibili talaltra davvero eterodossi. Come il già citato aspetto della malattia, decisiva nel definire il carattere di "Marshall", come confidenzialmente viene chiamato nelle pagine del libro. L'effetto, e Coupland lo dice come ambizione della sua biografia, è quello di una "patografia", un'analisi che mette sul tavolo tanto le visioni geniali di un uomo che sembrava capace di pensare nel futuro - mentre viveva cercando disperatamente di ancorarsi al passato e alle tradizioni, dato che Coupland mette in risalto molto spesso, giustamente - quanto il suo soffrire di piccoli ictus frequenti, insomma come, scrive Tommaso Pincio in una notevole recensione del libro, se non avesse tutte le rotelle a posto. E proprio Pincio, commentando una delle grandi intuizioni di McLuhan sulla rivoluzione informatica, coglie il fascino contraddittorio che fa da spina dorsale all'intera biografia. "Scrisse questa fedele prefigurazione di Internet - nota il romanziere - quando nemmeno gli alti dirigenti dell'Ibm immaginavano il dilagare di dispositivi quali personal computer e smartphone. Scrisse ciò e altro quando, avendo superato i cinquanta, era ormai 'un babbione in giacca a quadri', un signore di mezza età per nulla attrezzato a calarsi nel ruolo di polo d'attrazione delle feste e dei cocktail cui veniva regolarmente invitato". Già, perché McLuhan detestava il villaggio globale e viveva con malcelato disagio anche il rapporto con gli hippie che lo veneravano come un guru... Insomma, Coupland è bravissimo a mostrare quante contraddizioni ci fossero nel personaggio, ma al tempo stesso quanta preveggenza e forza innovativa si propagò durante il momento McLuhan, in qualche modo epicentro del salto intellettuale che ci ha preparati al presente iper mediatizzato.

Ci sarebbe molto, moltissimo altro da dire. Ma forse basta uno dei tanti aforismi di Marshall McLuhan che Coupland ha sparso nel suo libro (che sembra quasi un'installazione artistica, ovviamente multimediale): "L'arte è qualcosa con cui si può sempre farla franca". Sia che ti chiami McLuhan, sia che ti chiami Coupland, verrebbe da dire. Un hurrà per entrambi.

10 luglio 2011

La Domenica torna triste domenica…

E’ un pomeriggio inglese, di quelli rivestiti di carta da parati beige e tazze di tè troppo carico mentre fuori piove e la noia se ne sta seduta sorridente sul canapè. Ecco, la nuova (vecchia) Domenica del Sole 24 Ore a Kilgore fa esattamente questo effetto. Il ritorno al formato large e alla veste grafica dei bei tempi andati – tempi fatti di pezzi noiosetti ancorati a una cultura impantanata in qualcosa che a noi, a essere proprio sinceri, non interessa granché – ha portato in eredità direttori e cardinali (niente da dire per l’amor del cielo, ma la cultura secondo il nostro modestissimo avviso non è esattamente il posto delle divise e delle gerarchie…)… E dove sono finite firme brillanti come Lagioia, Carnero o Ricuperati? (Torneranno, vero? E’ solo un caso estivo, ne siamo sicuri!) E il bravissimo Stefano Salis che si batteva per un libro come “Fame di realtà” di David Shields adesso se ne sta un po’ relegato in qualche taglio basso abbastanza nascostino… (Ma presto lo rivedremo in prima, è certo). E poi a noi di Kilgore manca tremendamente, TREMENDAMENTE, quella vocazione pop rappresentata dal formato tabloid e dall’aria fresca, un po’ americana e anti accademica, seppur culturalmente solida…

Domenica era un’attesa eccitante, adesso sembra più leopardiana. (E sappiate che Kilgore, che detesta il Manzoni, invece venera il recanatese, ma questo non importa, o meglio è giusto che non importi. Invece adesso sembra di essere tornati ai tempi in cui DEVE per forza importare, almeno è la sensazione che, con disagio fisico, proviamo guardando l’ultimo numero, quello del 10 luglio…). Perfino Cordelli, Cordelli!, oggi sul Corriere della sera parla di Tommaso Pincio, e sembra, in confronto, di vivere in quadro di Andy Warhol anziché nella campagna pavese in un giorno nebbiosetto, mentre tutti i tuoi amici sono in vacanza ai tropici e la connessione Adsl non ne vuole sapere di funzionare.

Sparare giudizi non è granché bello, e in effetti ci accorgiamo di averlo fatto, forse con troppa foga. Ma è perché alla Domenica ci teniamo, perché non vediamo l’ora che esca, perché la cultura è una figata, a patto di saperlo dire con una certa eleganza, o quantomeno con la faccia seria e una giacca di felpa verde scuro. Ma una figata va difesa, fatta crescere, tutelata nella sua meravigliosa e postmoderna fragilità, sennò c’è il rischio che l’atmosfera uggiosa della Sunday britannica, triste domenica!, ci ripiombi tra capo e collo come una incudine, di quelle che colpiscono, ma i danni sono più scenografici che reali, il povero Wyle E. Coyote (naturalmente di marca Acme).