25 febbraio 2014

Edna O'Brien ovvero la verità, ti prego, sull'amore

Se è vero, come è vero, che nella valutazione critica di un artista le opere dovrebbero essere tutto e la vita privata niente, è anche altrettanto vero che molto spesso la seconda sconfina prepotentemente nel terreno delle prime, fino a creare una massa che risulta effettivamente molto difficile scindere, anche per i critici meno pruriginosi. Ci sono però momenti nei quali è lo stesso artista che compie volutamente la sovrapposizione dei territori, e nell'arte visuale brilla la parola "autoritratto", facendo ufficialmente spazio alla propria messa in mostra. Per gli scrittori è il momento dell'autobiografia, in qualche modo terreno d'armistizio - almeno in apparenza, ma non è peregrino pensare che in realtà quello autobiografico sia anche il più cruento dei campi di battaglia - tra se stessi e la fiction. A ben guardare, però, le armi che vengono utilizzate sono le stesse e il prodotto finale, il libro, potrebbe differire dalle opere dello stesso autore solo per l'uso di un pronome in prima persona anziché in terza. Ciò non toglie nulla al fascino dell'autobiografia - e spesso anche a quello delle biografie "indirizzate" dal soggetto della narrazione, come nel caso del meraviglioso profilo di Philip Roth firmato da Claudia Pierpont, Roth Unbound - e, anzi, diventa un ulteriore elemento intrigante su cui riflettere. E nel caso di Country Girl, l'autobiografia della scrittrice irlandese Edna O'Brien, che in Italia è stata pubblicata da Elliot, l'esito è sorprendente e felice, indipendentemente dalla percentuale di "verità", qualunque cosa voglia dire questa parola decisamente consunta dall'uso smodato che se ne fa, contenuta nelle sue 350 pagine abbondanti.

E' indubbio che la vita della O'Brien, classe 1930, sia piena di eventi che, con poca fantasia giornalistica, verrebbe automatico definire rocamboleschi (un solo esempio, il corteggiamento con Robert Mitchum, imperdibile come un film poliziesco), ma è altrettanto evidente come la scrittrice non giochi (più di tanto) con queste storie, e che la forza del libro stia sostanzialmente altrove, lontano dalle feste piene di celebrità e lontano anche dai libri. Il discorso vale anche per Roth (che per inciso di Edna O'Brien è da sempre un sostenitore e nel libro fa anche una lusinghiera apparizione): molta della vita degli scrittori (ma vale per chiunque, pensate al caso Agassi) accade prima o addirittura nonostante i loro libri, la bibliografia è un dato di fatto che però, in certe occasioni, mostra la corda. E tra queste occasioni spiccano le buone autobiografie. O'Brien racconta con grazia noncurante della sua inesausta, ma non cieca, ricerca di amore, e trova un tono che è al tempo stesso confidenziale, sereno eppure tragico, anche se solo sotto traccia. Raccontando del matrimonio, poi finito male, con lo scrittore Ernest Gébler, scrive, a proposito del pranzo nuziale: "Fu in quell'occasione che assaggiai per la prima volta lo champagne e mi piacque subito, forse più del dovuto". Ci vuole del coraggio per porre in epigrafe della storia della propria vita una frase del centometrista americano Tyson Gay, ma ci vuole del talento assoluto per creare una frase che in 20 parole sia anche una sintesi (ovviamente segreta nella sua perfezione) di tutto il libro. Mi piacque subito, forse più del dovuto.

Viene in mente l'epifanico titolo di una raccolta di poesie di Auden: La verità, vi prego, sull'amore. Anche questa potrebbe essere la domanda fondamentale che Country Girl solleva, dando risposte sempre parziali, tra le quali però ne spicca una di James Joyce a una sua amante alla fine di un'avventura: "Non potrà mai essere tra noi. Scrivilo". Ecco, il corto circuito è scattato, la scrittura sostituisce la vita, anzi crea le proprie condizioni lontano dalla vita: è una vertigine che diventa ancora più intensa quando ci ricordiamo che stiamo leggendo un'opera letteraria nella quale l'autrice prova a raccontare la sua di vita. Semplicemente perfetto. Così come perfetta è la scena in cui una O'Brien a pezzi dopo avere provato l'Lsd chiede di non ricevere visite, ma nonostante tutto ecco che nella sua stanza d'albergo si palesano prima Marguerite Duras con delle supposte e un tè al lime, poi il regista Peter Brook per lavorare a una sceneggiatura. "Dopo venne Samuel Beckett". Questa volta le parole sono solo quattro, ma il miracolo è, se possibile ancora più potente. E non importa se anche fosse un'allucinazione da acido, ma quando in un libro si riesce a fare entrare la storia della letteratura in una stanza d'hotel usando quattro sole parole, allora quello che abbiamo di fronte non è un libro come tutti gli altri. 

Così la luce che, dopo tanti amori, ma anche tante tragedie e momenti di vuoto e solitudine, si accende alla fine del libro sembra irradiare tutte le pagine precedenti con la tenerezza di una consapevolezza solo apparentemente scontata. Bella o brutta, diciamo tutti con Edna O'Brien, questa è la mia vita. Avere il coraggio di guardarla senza paraocchi, ma con affetto e tolleranza, sarebbe già un grande risultato. Come ha scritto Jonathan Franzen a proposito dei racconti di Alice Munro - altra scrittrice che, in absentia, pare però aleggiare spesso intorno alle parole della O'Brien - "si finisce per perdonare tutti e non condannare nessuno". 

Nessun commento: